PENALE ALIMENTARE MILANO BOLOGNA VICENZA Detenzione e vendita di sostanze alimentari adulterate o contaminate – Presenza di batteri dannosi per la salute – Misure di prevenzione in materia di igiene – Inidoneità – Inosservanza delle norme precauzionali – Omessa pronuncia in merito alla richiesta di sospensione condizionale della pena – Annullamento parziale con rinvio Corte di Cassazione|Sezione 3|Penale|Sentenza|13 novembre 2017| n. 51591
L’alimento esaminato evidenzio’ la presenza di una forte carica del batterio patogeno Lysteria, superiore ai limiti consentiti dalle norme in materia di alimenti, percio’ potenzialmente dannoso per la salute.
Il teste ha precisato, quanto alle operazioni di campionamento, che il prelievo avvenne in asepsi, quindi con l’uso di guanti sterili e mascherina. Ha precisato inoltre che i campioni furono trasferiti all’Istituto zooprofilattico per le analisi e ha riferito che, in tutti i campioni analizzati, era stata evidenziata la presenza di carica batterica a “Lysteria” in misura superiore ai limiti consentiti dalle norme vigenti. Le dichiarazioni testimoniali hanno poi trovato conferma nel verbale di prelevamento dei campioni.
Da tale accertamento di fatto, del quale la sentenza impugnata ha dato adeguata e logica spiegazione, neppure specificamente censurata, si puo’ fondatamente ritenere che il reato configurato – il quale vieta la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, la distribuzione per il consumo di sostanze alimentari insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte alla lavorazione o a trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione – reprime le condotte che hanno determinato, anche se per effetto di un atteggiamento soggettivo connotato dalla sola colpa, una mutazione degli alimenti considerata dannosa per la salute e persegue l’obiettivo di evitare che il prodotto giunga al consumo con gli attributi della nocivita’ per non essere state assicurate le cure igieniche imposte dalla sua natura (nella specie, per la presenza di cariche batteriche, “Lysteria monocytogenes”, in misura superiore ai limiti consentiti dalle norme vigenti).
Peraltro, la sola nocivita’ della sostanza alimentare, indipendentemente dall’essere questa insudiciata o gia’ alterata o invasa da parassiti configura il reato atteso che la fattispecie in parola e’ autonoma e assolve a una funzione di chiusura rispetto alle ipotesi (alterazione, insudiciamento ecc.) non inquadrabili in quelle specifiche della stessa lettera (Sez. 3, n. 6621 del 04/12/2013, dep. 2014, Siccardi, Rv. 258928).
Il Tribunale ha anche chiarito come l’affermazione del consulente della difesa, il quale ha adombrato l’illegittimita’ del prelievo per mancanza di un quantitativo sufficiente, non avesse alcun fondamento.
Inoltre, con accertamento di fatto adeguatamente motivato, il Tribunale ha ritenuto assertiva l’allegazione secondo la quale sarebbero stati predisposti ed attuati gli adempimenti relativi alle misure di prevenzione in materia di igiene (sistema di controllo interno HACCP), posto che, nel caso concreto, tali misure sono comunque risultate inidonee a garantire gli standard di sicurezza igienica dei preparati, con conseguente sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato contestato.
Per il quale ultimo elemento, integrativo della fattispecie di reato contestata e ritenuta in sentenza, e’ opportuno ricordare che destinatari delle disposizioni normative sono tutti coloro che, a qualsiasi titolo, concorrono all’immissione sul mercato di prodotti alimentari destinati al consumo, con la conseguenza che la responsabilita’ di colui che detenga prodotti alimentari non conformi alla normativa di settore e’ di natura colposa sicche’, per escludere il rimprovero sia pure colposo, e’ necessario che sia offerta la prova della buona fede, ossia la prova di aver posto in essere ogni attivita’ necessaria a garantire che il prodotto commerciato o da immettere in commercio sia conforme alle prescrizioni normative, avendo eseguito o fatto eseguire tutti i controlli, ovvero per aver posto in essere tutte le precauzioni possibili per evitare che il prodotto contaminato fosse avviato alla vendita.
Avendo il giudice del merito escluso, con adeguata motivazione priva di vizi di manifesta illogicita’, che i ricorrenti abbiano osservato tutte le norme precauzionali, deve ritenersi pienamente integrato anche l’elemento soggettivo del reato.
Quanto alla determinazione della pena, il tribunale ha tenuto conto di tutti i parametri di cui all’articolo 133 c.p. ed e’ partito da una pena base di Euro 27.000 di ammenda, ridotta ex articolo 62-bis a Euro 18.000 di ammenda e ulteriormente ridotta per il rito ad Euro 12.000 di ammenda, inferiore pertanto alla media edittale.
Ne’ ha applicato la pena detentiva (peraltro solo alternativamente prevista a quella pecuniaria in relazione all’ipotesi di reato configurata) e neppure ha convertito, come erroneamente assumono i ricorrenti, la pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria, cosi’ impedendo l’appellabilita’ della sentenza.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente
Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere
Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 06-09-2016 del tribunale di Ascoli Piceno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Vito Di Nicola;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Spinaci Sante che ha concluso per il rigetto;
udito per i ricorrenti l’avvocato (OMISSIS) che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
- (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, il tribunale di Ascoli Piceno li ha condannati, concesse le circostanze attenuanti generiche e con la diminuente del rito, alla pena di Euro 12.000 di ammenda per il reato previsto dalla L. 30 aprile 1962, n. 283, articolo 5, lettera d), perche’, in qualita’ di soci amministratori della societa’ ” (OMISSIS)” confezionavano e ponevano in vendita al dettaglio 82 kg di prodotto “salame morbido nostrano” risultato positivo alla presenza di Lysteria monocytogenes (rapporto di prova 65764 e 68339 del (OMISSIS)); fatto commesso a (OMISSIS) in data anteriore alla prossima al (OMISSIS).
- Per l’annullamento dell’impugnata sentenza i ricorrenti sollevano, tramite il difensore di fiducia, quattro motivi di impugnazione, qui enunciati ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p.nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la manifesta illogicita’, la carenza e la contraddittorieta’ della motivazione e il travisamento della prova (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), sul rilievo che il tribunale avrebbe assai confusamente indicato, quale unico elemento di prova, circa l’asserita commissione della contravvenzione attribuita ai ricorrenti, le sole dichiarazioni rese, in udienza, dall’ispettrice sanitaria che aveva effettuato i prelievi all’epoca dei fatti, senza per nulla considerarle in raffronto con le deduzioni rese in udienza dal consulente di parte e dettagliatamente argomentate nell’elaborato a firma dello stesso e prodotto a seguito della scelta del rito operata.
Piu’ in dettaglio, il tribunale, senza specificare i concreti elementi probatori acquisiti e soprattutto i criteri di valutazione utilizzati per fondare il proprio convincimento, avrebbe disatteso il principio di diritto secondo il quale, per ritenersi integrato il reato previsto dalla L. n. 283 del 1962, articolo 5, lettera d),, il prodotto deve presentarsi oggettivamente insudiciato o infestato da parassiti ovvero alterato, senza che tali condizioni possono essere desunte dallo stato di conservazione dell’alimento atteso che, trattandosi di reato di pericolo, per la cui integrazione e’ sufficiente il pericolo di danno per la salute pubblica, la presunzione di pericolosita’ non puo’ farsi discendere dall’ulteriore presunzione che lo stato, quale previsto dalla citata lettera d) della norma incriminatrice, discenda dalle condizioni ambientali nelle quali l’alimento viene tenuto.
2.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano l’inosservanza della legge penale e la mancanza di motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione all’applicazione della pena stante la ritenuta abnormita’ della sanzione irrogata.
Osservano che il tribunale, senza alcuna motivazione in ordine alla pena base da infliggere per il contestato reato contravvenzionale, ha indicato una pena assai diversa e notevolmente maggiore rispetto a quella prevista dalla legge, determinandola in misura prossima al massimo edittale e precludendo ai ricorrenti di impugnare la sentenza con l’appello, per avere convertito la pena detentiva dell’arresto nella corrispondente pena pecuniaria.
2.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’omessa motivazione sull’elemento soggettivo (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b).
Assumono che il concetto di prevedibilita’ dell’evento costituisce la chiave di volta dell’imputazione colposa in quanto e’ alla base del giudizio di rimproverabilita’, con la conseguenza che la prevedibilita’ dell’evento dannoso deve essere intesa quale giudizio ripetuto nel tempo che si fonda sulla costanza dell’esperienza dimostrativa del fatto secondo il quale ad una certa condotta segue sempre, e non eccezionalmente, un determinato evento di danno o di pericolo, cosicche’ l’accertamento della prevedibilita’ del fatto deve essere effettuato in concreto, riportandosi al momento in cui la condotta e’ stata posta in essere con un giudizio ex ante al fine di evitare slittamenti verso forme di responsabilita’ oggettiva.
Nel caso di specie, i ricorrenti hanno osservato tutte le norme precauzionali e il verificarsi dell’evento non e’ assolutamente dipeso da propri comportamenti, con la conseguenza che il tribunale avrebbe dovuto ritenerli esenti da qualsiasi responsabilita’.
2.4. Con il quarto motivo, i ricorrenti eccepiscono l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale nonche’ il vizio di motivazione in relazione all’articolo 163 c.p. e all’articolo 111 Cost. circa la mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, con relativa mancanza di motivazione al riguardo (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e).
Osservano che il tribunale non avrebbe esplicitato i motivi e le ragioni che hanno determinato il giudice a non applicare il beneficio della sospensione condizionale della pena, incorrendo pertanto nei vizi di violazione di legge di motivazione denunciati.
- Sono stati presentati motivi aggiunti con i quali i ricorrenti prospettano l’esistenza del vizio di erronea applicazione della legge penale in considerazione del fatto che le modalita’ di prelevamento dei campioni sarebbero avvenute in palese contrasto con le norme di legge, conseguendo da cio’ l’inaffidabilita’ dei rapporti di prova posti a fondamento dell’affermazione di responsabilita’.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- I ricorsi sono fondati per quanto di ragione.
- I motivi nuovi non sono ammissibili e comunque la doglianza con essi sollevata e’ manifestamente infondata.
La giurisprudenza di legittimita’ ha infatti affermato che i motivi nuovi di impugnazione devono essere inerenti ai temi specificati nei capi e punti della decisione investiti dall’impugnazione principale gia’ presentata, essendo necessaria la sussistenza di una connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari (Sez. 6, n. 6075 del 13/01/2015, Comitini, Rv. 262343).
Nel caso in esame, tale nesso funzionale manca in relazione a tutti i motivi originariamente proposti e, comunque, la prospettazione dei ricorrenti appare ampiamente apodittica non risultando che le modalita’ di prelevamento dei campioni sono avvenute in palese contrasto con le norme di legge ed emergendo invece dal testo della sentenza impugnata che furono osservati tutti gli accorgimenti per rendere oggettivo il risultato del prelievo.
- Il primo ed il terzo motivo, che possono essere congiuntamente esaminati in quanto tra loro collegati, non sono fondati.
2.1. Il tribunale ha infatti chiarito come, dall’istruttoria dibattimentale, sia emerso che, in data (OMISSIS), personale addetto al servizio di vigilanza sanitaria veterinaria della regione Marche ha effettuato una ispezione presso la ditta intestata ai ricorrenti e, nell’occasione, ha proceduto al prelevamento di un campione di “salame morbido nostrano” per la ricerca di “Lysteria M.” e “Salmonella”.
L’addetto al servizio di prevenzione, sentito come teste, ha riferito di essersi recato presso l’azienda, di cui gli imputati erano titolari nonche’ i legali rappresentanti, per i controlli previsti nell’ambito di un piano regionale triennale. A seguito del prelevamento, effettuato alla presenza di (OMISSIS), di salame morbido nostrano pronto per la vendita, il prodotto fu trasmesso all’istituto zooprofilattico di Fermo per la ricerca di “Lysteria M.” e “Salmonella”.
L’alimento esaminato evidenzio’ la presenza di una forte carica del batterio patogeno Lysteria, superiore ai limiti consentiti dalle norme in materia di alimenti, percio’ potenzialmente dannoso per la salute.
Il teste ha precisato, quanto alle operazioni di campionamento, che il prelievo avvenne in asepsi, quindi con l’uso di guanti sterili e mascherina. Ha precisato inoltre che i campioni furono trasferiti all’Istituto zooprofilattico per le analisi e ha riferito che, in tutti i campioni analizzati, era stata evidenziata la presenza di carica batterica a “Lysteria” in misura superiore ai limiti consentiti dalle norme vigenti. Le dichiarazioni testimoniali hanno poi trovato conferma nel verbale di prelevamento dei campioni.
2.2. Da tale accertamento di fatto, del quale la sentenza impugnata ha dato adeguata e logica spiegazione, neppure specificamente censurata, si puo’ fondatamente ritenere che il reato configurato – il quale vieta la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, la distribuzione per il consumo di sostanze alimentari insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte alla lavorazione o a trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione – reprime le condotte che hanno determinato, anche se per effetto di un atteggiamento soggettivo connotato dalla sola colpa, una mutazione degli alimenti considerata dannosa per la salute e persegue l’obiettivo di evitare che il prodotto giunga al consumo con gli attributi della nocivita’ per non essere state assicurate le cure igieniche imposte dalla sua natura (nella specie, per la presenza di cariche batteriche, “Lysteria monocytogenes”, in misura superiore ai limiti consentiti dalle norme vigenti).
Peraltro, la sola nocivita’ della sostanza alimentare, indipendentemente dall’essere questa insudiciata o gia’ alterata o invasa da parassiti configura il reato atteso che la fattispecie in parola e’ autonoma e assolve a una funzione di chiusura rispetto alle ipotesi (alterazione, insudiciamento ecc.) non inquadrabili in quelle specifiche della stessa lettera (Sez. 3, n. 6621 del 04/12/2013, dep. 2014, Siccardi, Rv. 258928).
Il Tribunale ha anche chiarito come l’affermazione del consulente della difesa, il quale ha adombrato l’illegittimita’ del prelievo per mancanza di un quantitativo sufficiente, non avesse alcun fondamento.
Inoltre, con accertamento di fatto adeguatamente motivato, il Tribunale ha ritenuto assertiva l’allegazione secondo la quale sarebbero stati predisposti ed attuati gli adempimenti relativi alle misure di prevenzione in materia di igiene (sistema di controllo interno HACCP), posto che, nel caso concreto, tali misure sono comunque risultate inidonee a garantire gli standard di sicurezza igienica dei preparati, con conseguente sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato contestato.
Per il quale ultimo elemento, integrativo della fattispecie di reato contestata e ritenuta in sentenza, e’ opportuno ricordare che destinatari delle disposizioni normative sono tutti coloro che, a qualsiasi titolo, concorrono all’immissione sul mercato di prodotti alimentari destinati al consumo, con la conseguenza che la responsabilita’ di colui che detenga prodotti alimentari non conformi alla normativa di settore e’ di natura colposa sicche’, per escludere il rimprovero sia pure colposo, e’ necessario che sia offerta la prova della buona fede, ossia la prova di aver posto in essere ogni attivita’ necessaria a garantire che il prodotto commerciato o da immettere in commercio sia conforme alle prescrizioni normative, avendo eseguito o fatto eseguire tutti i controlli, ovvero per aver posto in essere tutte le precauzioni possibili per evitare che il prodotto contaminato fosse avviato alla vendita.
Avendo il giudice del merito escluso, con adeguata motivazione priva di vizi di manifesta illogicita’, che i ricorrenti abbiano osservato tutte le norme precauzionali, deve ritenersi pienamente integrato anche l’elemento soggettivo del reato.
- Infondato e’ anche il secondo motivo di impugnazione.
Quanto alla determinazione della pena, il tribunale ha tenuto conto di tutti i parametri di cui all’articolo 133 c.p. ed e’ partito da una pena base di Euro 27.000 di ammenda, ridotta ex articolo 62-bis a Euro 18.000 di ammenda e ulteriormente ridotta per il rito ad Euro 12.000 di ammenda, inferiore pertanto alla media edittale.
Ne’ ha applicato la pena detentiva (peraltro solo alternativamente prevista a quella pecuniaria in relazione all’ipotesi di reato configurata) e neppure ha convertito, come erroneamente assumono i ricorrenti, la pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria, cosi’ impedendo l’appellabilita’ della sentenza.
A questo riguardo, e’ solo il caso di aggiungere che, qualora cio’ fosse accaduto, il mezzo di impugnazione a disposizione dell’imputato, anche nell’ipotesi di conversione della pena detentiva in quella pecuniaria, sarebbe stato comunque l’appello e non il ricorso per cassazione, con la conseguenza che i ricorrenti non sarebbero stati privati di un doppio grado del giudizio di merito, in quanto l’articolo 593 c.p.p., comma 3, volendo ulteriormente limitare, rispetto alla precedente normativa, la possibilita’ di appello avverso le sentenze di condanna, definisce inappellabili, tra queste ultime, quelle relative a contravvenzioni per le quali e’ stata applicata la sola ammenda, con cio’ intendendo riferirsi alle contravvenzioni astrattamente punibili con la sola pena pecuniaria (ammenda) o con pena alternativa (arresto o ammenda e per le quali sia stata applicata soltanto la sanzione pecuniaria); debbono viceversa considerarsi escluse dalla suddetta limitazione e ritenersi quindi appellabili le condanne per contravvenzioni astrattamente punibili con pena alternativa, per le quali sia stata applicata la sola pena detentiva (arresto) e per quelle astrattamente punibili con pena congiunta, e cio’ anche se sia stata in concreto inflitta la sola pena dell’ammenda per errore o per applicazione della pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva (Sez. 3, n. 5870 del 19/04/1994, Brunetti, Rv. 197829).
- E’ invece fondato il quarto motivo di ricorso perche’, al cospetto di una specifica richiesta di godere dei doppi benefici di legge, desumibile anche dalle conclusioni che risultano trascritte nell’epigrafe della sentenza impugnata, il giudice del merito, che pure ha concesso il beneficio della sospensione condizionale alla sola coimputata, nulla ha motivato in proposito nei confronti dei ricorrenti, che pure l’avevano reclamata.
- Essendosi questi ultimi doluti esclusivamente dell’omessa motivazione in ordine alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, la sentenza impugnata va annullata limitatamente alla richiesta del beneficio di cui all’articolo 163 c.p.con rinvio al tribunale di Ascoli Piceno limitatamente a tale punto.
I ricorsi vanno invece rigettati nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla richiesta di sospensione condizionale della pena con rinvio al tribunale di Ascoli Piceno; rigetta i ricorsi nel resto.