Risarcimento del danno – Morte di congiunti parenti della vittima

Risarcimento del danno – Morte di congiunti (parenti della vittima) danno morale BOLOGNA RAVENNA CESENA  FORLI RIMINI LUGO- Presunzione “iuris tantum” – Conseguenze – Onere del convenuto di dimostrarne l’inesistenza – Configurabilità – Insussistenza di un rapporto di convivenza e di vicinanza tra vittima e superstiti – Irrilevanza. Corte di Cassazione|Sezione 6 3|Civile|Ordinanza|15 febbraio 2018| n. 3767 Morte di congiunti (parenti della vittima) 

 Morte di congiunti (parenti della vittima)
Morte di congiunti (parenti della vittima)
 Morte di congiunti (parenti della vittima)
Morte di congiunti (parenti della vittima)

Il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito concretatosi in un evento mortale va riconosciuto – con riguardo sia al danno morale, sia a quello patrimoniale, che presuppone, peraltro, la prova di uno stabile contributo economico apportato, in vita, dal defunto al danneggiato – anche al convivente “more uxorio” del defunto stesso, quando risulti dimostrata tale relazione caratterizzata da tendenziale stabilita’ e da mutua assistenza morale e materiale; a tal fine non sono sufficienti ne’ le dichiarazioni rese dagli interessati per la formazione di un atto di notorieta’, ne’ le indicazioni dai medesimi fornite alla P.A. per fini anagrafici” (Cass. n. 23725 del 2008). In altri casi si e’ affermato che “Il risarcimento del danno da uccisione di un prossimo congiunto spetta non soltanto ai membri della famiglia legittima della vittima, ma anche a quelli della famiglia naturale, come il convivente “more uxorio” ed il figlio naturale non riconosciuto, a condizione che gli interessati dimostrino la sussistenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra essi e la vittima assimilabile al rapporto coniugale”. (Cass. n. 12278 del 2011).

Deve sottolinearsi che, nell’illustrazione degli elementi identificativi della convivenza di fatto, all’interno della giurisprudenza della Corte, se la coabitazione e’ stata finora indicata come un indice rilevante e ricorrente dell’esistenza di una famiglia di fatto, individuando l’esistenza di una casa comune all’interno della quale si svolge il programma di vita comune, non e’ stato peraltro ritenuto un elemento imprescindibile, la cui mancanza, di per se’, fosse determinante al fine di escludere la configurabilita’ della convivenza.

Giova richiamare, in particolare, il principio di diritto affermato da Cass. n. 7128 del 2013, in base al quale integra di per se’ un danno risarcibile ex articolo 2059 c.c., giacche’ lede un interesse della persona costituzionalmente rilevante, ai sensi dell’articolo 2 Cost. – il pregiudizio recato al rapporto di convivenza, da intendere quale stabile legame tra due persone connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti, anche quando non sia contraddistinto da coabitazione.

Deve aggiungersi che e’ anche necessario prendere atto del mutato assetto della societa’, collegato alle conseguenze di una prolungata crisi economica ma non originato soltanto da queste, dal quale emerge che ai fini della configurabilita’ di una convivenza di fatto, il fattore coabitazione e’ destinato ad assumere ormai un rilievo recessivo rispetto al passato. Non puo’ non considerarsi infatti che: -la scelta del luogo di abitazione talvolta non puo’ essere conforme alle preferenze delle persone o alle loro scelte affettive ma puo’ essere necessitata dalle circostanze economiche; – la impossibilita’ dello Stato di mantenere tutte le provvidenze dello stato sociale porta talora gli individui a doversi attivare in supplenza del supporto assistenziale mancante, e a sostenere degli spostamenti o a scegliere il luogo di abitazione per accudire le persone del proprio nucleo familiare che ne abbiano bisogno, o comunque privilegiando le necessita’ di accudimento piuttosto che le esigenze della vita affettiva; – il mercato del lavoro non garantisce una regolare coincidenza del luogo di svolgimento del rapporto lavorativo con il luogo di abitazione familiare; la ricerca della miglior collocazione lavorativa porta a prescindere dalla provenienza geografica e a spostarsi con maggiore facilita’ in un luogo diverso da quello di provenienza o anche da quello ove si ha il proprio centro affettivo, per migliori prospettive di carriera o per realizzare un progetto che nella propria citta’ o nel proprio paese sarebbe impossibile realizzare. A cio’ si aggiunga, come ulteriore componente di cambiamento del modo di vivere e di concepire sia i rapporti sociali in generale che le relazioni interpersonali, la maggiore facilita’ ed economicita’ sia dei contatti telefonici e a video che dei trasporti.

Tutti questi fattori di un cambiamento sociale che e’ ormai verificato nella societa’ comportano che si instaurino e si mantengano rapporti affettivi stabili a distanza con frequenza molto maggiore che in passato (non solo nella famiglie di fatto ma, ugualmente, anche all’interno delle famiglie fondate sul matrimonio) e devono indurre a ripensare al concetto stesso di convivenza, la cui essenza non puo’ appiattirsi sulla coabitazione.

Sono tutte situazioni in cui puo’ esistere una famiglia di fatto o una stabile convivenza, intesa come comunanza di vita e di affetti, in un luogo diverso rispetto a quello in cui uno dei due conviventi lavori o debba, per suoi impegni di cura e assistenza, o per suoi interessi personali o patrimoniali, trascorrere gran parte della settimana o del mese, senza che per questo venga meno la famiglia.

 Morte di congiunti (parenti della vittima)
Morte di congiunti (parenti della vittima)

Esistono anche realta’ in cui le famiglie, siano esse di fatto o fondate sul matrimonio, si formano senza avere neppure, per un periodo di tempo piu’ o meno lungo, una casa comune, intesa come casa dove si svolge la vita della famiglia, in quanto ognuno dei due partners e’ tenuto per i propri impegni professionali o per particolari esigenze personali, a vivere o a trascorrere la gran parte della settimana o del mese in un luogo diverso dall’altro.

Alla luce di tutti questi elementi non ha piu’ alcun senso appiattire la nozione di convivenza sulla esistenza di una coabitazione costante tra i partners, lasciando fuori dai margini della tutela ogni altra relazione, che pur sia stabile sia affettivamente sia sotto il profilo della reciproca assunzione di un impegno di assistenza e di collaborazione all’adempimento degli obblighi economici, ma sia dotata di un assetto organizzativo della vita familiare diverso da quello tradizionale.

Negare tutela a tutte queste molteplici situazioni vorrebbe dire perdere il contatto tra la necessita’, esistente ed insopprimibile, di delimitare la sfera della risarcibilita’ alle situazioni giuridicamente meritevoli di tutela, e la necessita’, di non inferiore dignita’, di tutelare tutte le situazioni meritevoli di tutela senza trascurarne alcuna.

Il dato della coabitazione, all’interno dell’elemento oggettivo della convivenza e’ quindi attualmente un dato recessivo. Esso deve essere inteso come semplice indizio o elemento presuntivo della esistenza di una convivenza di fatto, da considerare unitariamente agli altri elementi allegati e provati e non come elemento essenziale di essa, la cui eventuale mancanza, di per se’, possa legittimamente portare ad escludere l’esistenza di una convivenza.

 Morte di congiunti (parenti della vittima)
Morte di congiunti (parenti della vittima)

La nozione di convivenza di fatto, intesa come un rapporto di fatto che si caratterizzi, oltre che per l’esistenza di una relazione affettiva consolidata, per la spontanea assunzione di diritti ed obblighi, tali da darle una stabilita’ assimilabile a quella coniugale, peraltro trova ora il suo supporto normativo nella L. n. 76 del 2016, che all’articolo 1, definisce i conviventi di fatto come “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinita’ o adozione, da matrimonio o da un’unione civile, individuando sempre l’elemento spirituale, il legame affettivo, e quello materiale o di stabilita’, la reciproca assistenza morale e materiale, fondata in questo caso non sul vincolo coniugale e sugli obblighi giuridici che ne scaturiscono, ma sull’assunzione volontaria di un impegno reciproco.

Colpisce che questa realta’ non sia stata colta affatto nella sentenza impugnata, che esclude da ogni forma di tutela la (OMISSIS) negandone la qualita’ di convivente di fatto, dopo aver passato in rassegna una sequela di indici pur esistenti, per il solo fatto, ritenuto dirimente, che il S. avesse lasciato la propria residenza anagrafica nel Comune dove vivevano il figlio e il nipote.

Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere pertanto cassata e la causa rinviata per un nuovo esame alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione che decidera’ anche sulle spese del presente giudizio e si atterra’ ai seguenti principi di diritto:

– si ha convivenza more uxorio, rilevante anche ai fini della risarcibilita’ del danno subito da un convivente in caso di perdita della vita dell’altro, qualora due persone siano legate da un legame affettivo stabile e duraturo, in virtu’ del quale abbiano spontaneamente e volontariamente assunto reciproci impegni di assistenza morale e materiale:

– ai fini dell’accertamento della configurabilita’ della convivenza more uxorio, i requisiti della gravita’, della precisione e della concordanza degli elementi presuntivi, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi (quali, a titolo meramente esemplificativo, un progetto di vita comune, l’esistenza di un conto corrente comune, la compartecipazione di ciascuno dei conviventi alle spese familiari, la prestazione di reciproca assistenza, la coabitazione), i quali devono essere valutati non atomisticamente ma nel loro insieme e l’uno per mezzo degli altri.

Si ha convivenza more uxorio, rilevante anche ai fini della risarcibilita’ del danno subito da un convivente in caso di perdita della vita dell’altro, qualora due persone siano legate da un legame affettivo stabile e duraturo, in virtu’ del quale abbiano spontaneamente e volontariamente assunto reciproci impegni di assistenza morale e materiale: ai fini dell’accertamento della configurabilita’ della convivenza more uxorio, i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza degli elementi presuntivi, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi (quali, a titolo meramente esemplificativo, un progetto di vita comune, l’esistenza di un conto corrente comune, la compartecipazione di ciascuno dei conviventi alle spese familiari, la prestazione di reciproca assistenza, la coabitazione), i quali devono essere valutati non atomisticamente ma nel loro insieme e l’uno per mezzo degli altri. Ne consegue che deve ritenersi censurabile, in sede di legittimità, la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento. 

 

L’uccisione di una persona fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli od ai fratelli della vittima, a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero, né che fossero distanti (circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del “quantum debeatur”). Nei casi suddetti è pertanto onere del convenuto provare che vittima e superstite fossero tra foro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo.