AFFRETTATI CHIAMA SUBITO NON ASPETTARE URGENTE APPUNTAMENTO
Responsabilita’ del vettore – Trasporto di persone – Presunzione di responsabilità ex art. 1681 c.c. a carico del vettore per i danni al viaggiatore – Necessità di dimostrare il nesso causale tra il sinistro occorso al viaggiatore medesimo e l’attività del vettore – Sinistro attribuibile al fatto di un terzo viaggiatore – Non operatività della presunzione de qua – Mancanza di una colpa in capo al vettore – Viaggiatore danneggiato dal trasporto – Onere di provare il nesso causale tra l’evento dannoso ed il trasporto stesso – Incidentiriconducibili al trasporto – Vettore – Esclusione della sua responsabilità – Prova che l’evento lesivo rappresenta un fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza – Fattispecie – Accertata responsabilità della parte convenuta, ovvero del conducente dell’autobus – Danni riportati dall’attrice – Apertura degli sportelli per la discesa prima ancora che l’autobus fosse completamente fermo – Doppia brusca frenata – Attrice ancorata agli appositi sportelli – Caduta della stessa sui gradini di discesa del mezzo
In punto di diritto deve dirsi che, come noto, ai sensi dell’art. 1681 c.c., “Responsabilità del vettore”, Salva la responsabilità per il ritardo e per l’inadempimento nell’esecuzione del trasporto (1218 ss.), il vettore risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio e della perdita o dell’avaria delle cose che il viaggiatore porta con sé, se non prova di avere adottalo tutte le misure idonee a evitare il danno (2050, 2951), (II). Sono nulle le clausole che limitano la responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscono il viaggiatore (12292), (III). Le norme di questo articolo si osservano anche nei contratti di trasporto gratuito (414, 415 c. nav.).
Anche recentemente la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito (Cass. Sez. 3, n. 4482/2009, Sez. Civ. VI del 23.02.2011 n. 4442) che, in tema di trasporto di persone, la presunzione di responsabilità di cui all’art. 1681 c.c., a carico del vettore per i danni al viaggiatore opera quando sia provato il nesso causale tra il sinistro occorso al viaggiatore medesimo e V attività del vettore in esecuzione del trasporto, restando viceversa detta presunzione esclusa quando sia accertata la mancanza di una colpa in capo al vettore, come nel caso in cui il sinistro venga attribuito al fatto di un terzo viaggiatore.
Nel contratto di trasporto di persone, regolato dal codice civile, il viaggiatore, che abbia subito danni “a causa” del trasporto (quando cioè il sinistro è posto in diretta, e non occasionale, derivazione causale rispetto all’attività di trasporto), ha l’onere di provare il nesso eziologico esistente tra V evento dannoso ed il trasporto medesimo (dovendo considerarsi verificatisi “durante il viaggio” anche i sinistri occorsi durante le operazioni preparatorie o accessorie, in genere, del trasporto e durante le fermate), essendo egli tenuto ad indicare la causa specifica di verificazione dell’evento; incombe, invece, sul vettore, al fine di liberarsi della presunzione di responsabilità a suo carico gravante ex art. 1681 c.c., l’onere di provare che l’evento dannoso costituisce fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza (Cassazione civile, sez. III, 20/07/2010, n. 16893).
Parimenti è stato affermato che il danno non patrimoniale è risarcibile anche in ambito contrattuale, ogni qual volta – sulla base della causa concreta del negozio – da intendersi come sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare – si accerti che, nelle obbligazioni contrattuali, abbiano assunto una specifica rilevanza anche interessi di natura non patrimoniale, come nel caso del contratto di trasporto di persone: è evidente, infatti, che gli obblighi del vettore implichino anche la tutela del benessere fisico e psichico del soggetto trasportato e non soltanto il suo trasferimento materiale da un luogo all’altro.
Alla luce delle considerazioni in fatto e in diritto che precedono deve dichiararsi la responsabilità del conducente dell’autobus e quindi della convenuta nella causazione dell’evento dannoso per cui è causa essendo emerso che il conducente dell’autobus apriva gli sportelli per la discesa prima ancora che l’autobus fosse completamente fermo ed effettuava una brusca, doppia frenata che, nonostante l’attrice fosse ancorata agli appositi sportelli, non le impediva di essere catapultata sui gradini di discesa del mezzo, Circa il “quantum debeatur”, può riconoscersi, alla stregua degli accertamenti del C.T.U. medico-legale, a titolo di danno non patrimoniale la inabilità temporanea totale richiesta in ragione di giorni 30, con corrispondente danno biologico per Euro 1.371,00 (gg. 30 Euro 45,70), la I.T.P. al 50% per giorni 30, con corrispondente danno biologico di Euro 685,50 (gg. 30 x Euro 45,70 x 50%), la I.T.P. al 25% per giorni 20, con corrispondente danno biologico di Euro 228,50 (gg. 20 x Euro 45,70 x 25%), ed infine l’invalidità permanente nella misura del 5%, con relativo danno biologico di Euro 4.670,61 come previsto per persona di anni 51 all’epoca dell’incidente.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI BARI
TERZA SEZIONE CIVILE
Il Giudice del Tribunale di Bari Sezione Terza
Angelo Pellegrini
in funzione di Giudice monocratico civile ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile in oggetto indicata
Tra
Parte attrice
Ma.Na.
Parte convenuta
Am. S.p.A.
Assistita da Avv. (…)
FATTO E DIRITTO
Con atto di citazione notificato in data 30.03.2009, Ma.Na., nata (…) ed ivi res.te, alla via (…) conveniva in giudizio dinanzi questo Tribunale l’Am. S.p.A. in persona del legale rapp.te p.t., per ivi sentirsi accogliere le seguenti conclusioni: “a) accertare e dichiarare la esclusiva responsabilità dell’operatore di servizio conducente l’Autobus di linea Am. n. 4 nella causazione dell’evento illecito a causa del quale la signora Na.Ma. ebbe a riportare le gravi lesioni per cui oggi chiede il giusto risarcimento; b) accertare la sussistenza delle lesioni personali e quindi del danno biologico e patrimoniale lamentato dall’attrice e che gli stessi sono direttamente conseguenti al sinistro dedotto nel presente atto; c) condannare l’Am. Bari Servizio S.p.A. in persona del suo legale rapp.te p.t., nella qualità di proprietario dell’autobus di linea 4 al pagamento in favore della signora Ma.Na. della complessiva somma di Euro 18.552,48 per le voci così come specificamente individuate in narrativa o in ogni caso in quella somma maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione come per legge; d) condannare l’Am. Bari Servizio S.p.A. in persona del legale rapp.te p.t. al pagamento di spese e competenze di lite in favore dei sottoscritti procuratori distrattari”.
Esponeva l’attrice che in data 03.02.2006 alle ore 13,30 circa, si trovava a bordo dell’autobus di linea Am. 4 che stava effettuando la corsa Bari Carbonara e poiché il mezzo era stracolmo di passeggeri, era costretta a posizionarsi nei pressi della linea di discesa della porta anteriore ma assicurata alle barre di sostegno ivi poste; nelle indicate? circostanze, il conducente dell’autobus, giunto nei pressi della fermata di via Ponte in Carbonara, rallentava l’andatura e apriva le porte per la discesa quando il veicolo non era ancora del tutto fermo; a seguito della successiva frenata da parte dell’autista, il mezzo subiva un rimbalzo e a causa del contraccolpo l’attrice veniva sospinta all’esterno dell’autobus cadendo rovinosamente dapprima sui gradini di discesa e quindi sul selciato.
Affermava quindi l’attrice che veniva immediatamente soccorsa e richiesto l’intervento di un’autolettiga, veniva trasportata presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale Di Venere di Carbonara.
A seguito di sua richiesta di risarcimento danni formulata nei confronti della convenuta, quest’ultima le comunicava di aver provveduto alla denuncia del sinistro presso la propria Compagnia di Assicurazione che la sottoponeva a visita medica, tuttavia, nonostante il lungo tempo trascorso, non provvedeva ad alcun risarcimento.
All’udienza di prima comparizione del 02.07.2009 il precedente giudicante dichiarava la contumacia della convenuta e concedeva i termini di cui all’art. 183 co. 6 c.p.c. ammessa ed assunta la prova testimoniale richiesta da parte attrice, disposta ed espletata c.t.u. medico legale, assegnato il giudizio allo scrivente, all’udienza del 27.11.2012, nella persistenza della contumacia della convenuta, la causa veniva riservata per la decisione previa precisazione delle conclusioni ad opera dell’attrice e con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali ed eventuali repliche. La domanda attorea è fondata sia in fatto che in diritto e deve pertanto essere accolta con ogni consequenziale provvedimento anche in ordine alle spese di giudizio. Invero, dall’istruttoria espletata nel corso del giudizio, dai documenti depositati in atti, dalle risultanze della disposta c.t.u. medico legale nonché infine dal comportamento processuale della convenuta che non si costituiva in giudizio è emerso che in data 03.02.2006 alle ore 13,30 circa, l’attrice, Ma.Na., viaggiava a bordo dell’autobus di proprietà della convenuta, linea 4, sulla corsa Bari – Carbonara in direzione Carbonara quando il conducente del mezzo, giunto nei pressi della fermata di via Ponte in Carbonara, rallentava l’andatura e apriva le porte per la discesa mentre il veicolo non era ancora del tutto fermo; è emerso altresì a causa della frenata, l’autobus subiva un rimbalzo a seguito del quale l’attrice, che si posizionava nei pressi della discesa del mezzo, nelle indicate circostanze molto affollato, veniva sospinta all’esterno cadendo rovinosamente dapprima sui gradini di discesa dell’autobus e quindi sul selciato.
Tali circostanze venivano confermate nel corso del giudizio dalla testimone, Ma.Fe., la quale dichiarava che il conducente aprì gli sportelli poco prima di fermarsi, che lo stesso effettuò una doppia frenata ma poco prima della fermata di via Ponte e la seconda proprio in corrispondenza dell’area di fermata per la discesa; nel frattempo gli sportelli erano già aperti; aggiungeva inoltre che a quel punto della corsa il pullman era pieno di passeggeri e che a causa delle due frenate impresse dal conducente, ci siamo urtati l’uno con l’altro sbilanciandoci in avanti e che la signora Ma. nel momento delle due frenate si manteneva agli appositi sostegni; tuttavia per il contraccolpo non riusciva a mantenere l’equilibrio e cadeva dapprima sui gradini del veicolo e poi al suolo. Ulteriori elementi si traggono, poi, dalle risultanze della c.t.u. medico legale a seguito della quale veniva acclarata la sussistenza di nesso di causalità tra le lesioni riportate dalla passeggera, odierna attrice e l’evento dannoso di cui è causa.
In punto di diritto deve dirsi che, come noto, ai sensi dell’art. 1681 c.c., “Responsabilità del vettore”, Salva la responsabilità per il ritardo e per l’inadempimento nell’esecuzione del trasporto (1218 ss.), il vettore risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio e della perdita o dell’avaria delle cose che il viaggiatore porta con sé, se non prova di avere adottalo tutte le misure idonee a evitare il danno (2050, 2951), (II). Sono nulle le clausole che limitano la responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscono il viaggiatore (12292), (III). Le norme di questo articolo si osservano anche nei contratti di trasporto gratuito (414, 415 c. nav.).
Anche recentemente la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito (Cass. Sez. 3, n. 4482/2009, Sez. Civ. VI del 23.02.2011 n. 4442) che, in tema di trasporto di persone, la presunzione di responsabilità di cui all’art. 1681 c.c., a carico del vettore per i danni al viaggiatore opera quando sia provato il nesso causale tra il sinistro occorso al viaggiatore medesimo e V attività del vettore in esecuzione del trasporto, restando viceversa detta presunzione esclusa quando sia accertata la mancanza di una colpa in capo al vettore, come nel caso in cui il sinistro venga attribuito al fatto di un terzo viaggiatore.
Nel contratto di trasporto di persone, regolato dal codice civile, il viaggiatore, che abbia subito danni “a causa” del trasporto (quando cioè il sinistro è posto in diretta, e non occasionale, derivazione causale rispetto all’attività di trasporto), ha l’onere di provare il nesso eziologico esistente tra V evento dannoso ed il trasporto medesimo (dovendo considerarsi verificatisi “durante il viaggio” anche i sinistri occorsi durante le operazioni preparatorie o accessorie, in genere, del trasporto e durante le fermate), essendo egli tenuto ad indicare la causa specifica di verificazione dell’evento; incombe, invece, sul vettore, al fine di liberarsi della presunzione di responsabilità a suo carico gravante ex art. 1681 c.c., l’onere di provare che l’evento dannoso costituisce fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza (Cassazione civile, sez. III, 20/07/2010, n. 16893).
Parimenti è stato affermato che il danno non patrimoniale è risarcibile anche in ambito contrattuale, ogni qual volta – sulla base della causa concreta del negozio – da intendersi come sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare – si accerti che, nelle obbligazioni contrattuali, abbiano assunto una specifica rilevanza anche interessi di natura non patrimoniale, come nel caso del contratto di trasporto di persone: è evidente, infatti, che gli obblighi del vettore implichino anche la tutela del benessere fisico e psichico del soggetto trasportato e non soltanto il suo trasferimento materiale da un luogo all’altro.
Alla luce delle considerazioni in fatto e in diritto che precedono deve dichiararsi la responsabilità del conducente dell’autobus e quindi della convenuta nella causazione dell’evento dannoso per cui è causa essendo emerso che il conducente dell’autobus apriva gli sportelli per la discesa prima ancora che l’autobus fosse completamente fermo ed effettuava una brusca, doppia frenata che, nonostante l’attrice fosse ancorata agli appositi sportelli, non le impediva di essere catapultata sui gradini di discesa del mezzo, Circa il “quantum debeatur”, può riconoscersi, alla stregua degli accertamenti del C.T.U. medico-legale, a titolo di danno non patrimoniale la inabilità temporanea totale richiesta in ragione di giorni 30, con corrispondente danno biologico per Euro 1.371,00 (gg. 30 Euro 45,70), la I.T.P. al 50% per giorni 30, con corrispondente danno biologico di Euro 685,50 (gg. 30 x Euro 45,70 x 50%), la I.T.P. al 25% per giorni 20, con corrispondente danno biologico di Euro 228,50 (gg. 20 x Euro 45,70 x 25%), ed infine l’invalidità permanente nella misura del 5%, con relativo danno biologico di Euro 4.670,61 come previsto per persona di anni 51 all’epoca dell’incidente.
Non compete poi il richiesto danno morale, essendogli stata recentemente negata autonomia risarcitoria dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U. civ. 24/6 – 11/11/2008, n. 26972); ma l’importo per l’invalidità permanente va personalizzato mediante incremento di un congruo terzo (Euro 2.295,35) per l’ulteriore pregiudizio costituito dalle ripercussioni negative sul valore – donna determinate dalle condizioni di sofferenza fisica e psichica cagionate dal fatto illecito, dalla sottoposizione dell’attrice alle cure necessarie, e dalla lesione alla dignità della persona (per aver dovuto limitare le ordinarie attività dell’esistenza) connessa ed in rapporto all’evento dannoso. Complessivamente spetta, quindi, all’attrice per danno patrimoniale – nella misura di Euro 2.100,00 avendo il c.t.u. affermato che tutti gli accertamenti effettuati in sede amministrativa sono giustificati in ragione delle patologie riscontrate e da riconoscersi in quanto doveroso approfondimento diagnostico – e non patrimoniale l’importo di Euro 11.350,96 già rivalutato all’attualità secondo le note tabelle utilizzate anche da Questo Ufficio, oltre interessi legali dalla domanda giudiziale all’effettivo soddisfo. Le spese processuali – ivi comprese le spese di c.t.u. – seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo con distrazione in favore degli avv.ti Ma.Ad. e Pa.Pe. per dichiarata anticipazione.
P.Q.M.
Il Tribunale di Bari Sezione Terza definitivamente pronunciandosi sulla domanda proposta con atto di citazione notificato in data 30.03.2009 da Ma.Na. nei confronti dell’Am. S.p.A. in persona del legale rapp.te p.t., contumace, così provvede:
1) accoglie la domanda e per l’effetto, accertata e dichiarata l’esclusiva responsabilità della convenuta nella causazione del sinistro per cui è causa, la condanna al pagamento in favore dell’attrice della somma di Euro 11.350,00 oltre interessi legali dalla domanda giudiziale all’effettivo soddisfo a titolo di risarcimento dei danni subiti;
2) condanna la convenuta al pagamento in favore dell’attrice delle spese processuali complessivamente liquidate in Euro 2.300,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre IVA e CAP come per legge con distrazione in favore degli avv.ti Ma.Ad. e Pa.Pe. per dichiarata anticipazione;
3) pone definitivamente a carico della convenuta le spese della espletata c.t.u.
Così deciso in Bari il 22 aprile 2013.
La presunzione di colpa stabilita dall’art. 1681 c.c. a carico del vettore per il sinistro che colpisca il passeggero durante il viaggio (comprese le operazioni accessorie, tra cui la salita o la discesa dal mezzo di trasporto) opera sul presupposto che sussista il nesso di causalità tra l’evento e l’esecuzione del trasporto ed è perciò superata se il giudice di merito accerta invece, anche indirettamente, che tale nesso non sussiste, come nel caso in cui il comportamento imprudente del viaggiatore costituisca la causa esclusiva del sinistro. (Principio enunciato ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c., in fattispecie in cui l’utente del servizio pubblico di autotrasporto aveva bussato alle porte del mezzo per farle aprire e sosteneva, quindi, di esser stato urtato dalla fiancata dello stesso autobus) inoltre Cass. civ. n. 9409/2011
la circostanza che un viaggiatore abbia riportato danni alla persona scendendo da un treno in movimento è di per sé idonea a vincere la presunzione di responsabilità posta a carico del gestore del servizio ferroviario per i danni ai passeggeri prevista dall’art. 13 del r.d.l. 11 ottobre 1934, n. 1948, atteso che tale tipo di condotta viola direttamente la norma di cui all’art. 25 del d.p.r. 11 luglio 1980, n. 753, la quale vieta di “aprire le poste esterne dei veicoli e di salire o discendere dagli stessi quando non sono completamente fermi”.
In tema di trasporto “amichevole o di cortesia”, diversamente dal trasporto “gratuito”, il titolo di responsabilità di colui che lo effettua è di natura extracontrattuale, come tale interamente regolato dall’art. 2043 c.c. Ne consegue che, nell’azione risarcitoria, Cass. civ. n. 21389/2009
devono essere accertati in concreto sia il dolo che la colpa, quali elementi costitutivi dell’illecito, ricorrendo la seconda ogni qualvolta il vettore abbia tenuto un comportamento non improntato ai canoni oggettivi della perizia e della diligenza.
In tema di trasporto di persone, la presunzione di responsabilità che la disposizione dell’articolo 1681 c.c. Cass. civ. n. 12694/2008
pone a carico del vettore per i danni riportati dal trasportato, è esclusa dalla prova che il vettore ha adempiuto all’obbligo di adottare tutte le misure idonee ad evitare il danno. Tale prova, peraltro, può anche indirettamente derivare dalla rigorosa prova della esclusiva responsabilità del fatto del terzo. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito con la quale era stata rigettata l’azione nei confronti del conducente e della proprietaria dell’autoveicolo su cui si trovavano gli attori, per i danni riportati nello scontro con altra autovettura, essendo rimasto accertato che il sinistro era stato provocato esclusivamente dalla imprudente condotta di guida del conducente di quest’ultima).
In tema di trasporto di persone, la presunzione di responsabilità che l’articolo 1681 c.c. e l’articolo 409 c.n. pongono a carico del vettore per i danni al viaggiatore, opera Cass. civ. n. 3285/2006
quando sia provato il nesso causale tra il sinistro occorso al viaggiatore e l’attività del vettore in esecuzione del trasporto, restando viceversa esclusa quando è accertata la mancanza di una sua colpa, come quando il sinistro viene attribuito al fatto stesso del viaggiatore, dal quale il vettore ha ragione di pretendere un minimo di diligenza, prudenza e senso di responsabilità nella salvaguardia della propria incolumità. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di danni, esperita dal viaggiatore nei confronti della compagnia aerea, a causa della totale perdita dell’udito ad un orecchio determinata da barotrauma durante la fase di atterraggio, in quanto il trasporto aereo si era svolto in modo del tutto regolare e senza anomalie, ed era rimasto accertato che il passeggero era stato precedentemente sottoposto ad intervento chirurgico all’apparato uditivo che lo predisponeva a risentire in maniera particolare degli effetti della variazione della pressione barometrica; egli si era pertanto volontariamente esposto all’evento malgrado i precedenti anamnestici a carico dell’apparato uditivo, che avrebbe dovuto prudentemente avvertire come locus minoris resistentiae).
trasporto di persone su di un veicolo, in particolare su un di filobus
Cass. civ. n. 2496/2004
o (come nel caso di specie) su di un tram, la nozione di viaggio include anche le soste effettuate dal veicolo stesso durante l’interruzione del movimento (soste necessarie per consentire la discesa o la salita dei passeggeri), sicché, nel caso di trasporto a pagamento, il conducente del tram o del filobus dovrà comunque adottare tutte le misure di cautela necessarie per la sicurezza e l’incolumità dei passeggeri che; nelle fermate a richiesta, discendano o salgano dagli appositi passaggi. Nei confronti del vettore risulta altresì applicabile la disciplina di cui all’art. 1681 c.c., che lo onera della prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, così vincendo la presunzione di responsabilità a suo carico sancita dalla norma predetta.
In tema di responsabilità del vettore per danni alle persone trasportate ai sensi dell’art. 1681 c.c., sebbene si devono considerare come avvenuti durante il viaggio anche i sinistri che colpiscono il viaggiatore Cass. civ. n. 11198/2003
verificatisi durante le operazioni preparatorie ed accessorie del trasporto o durante le fermate, è pur sempre richiesto un nesso causale tra evento dannoso e viaggio e, quindi, tra evento dannoso e veicolo di locomozione, che del viaggio costituisce il mezzo. Ne consegue che, per operazioni accessorie o preparatorie al trasporto, possono intendersi – a titolo esemplificativo — la salita o la discesa dal mezzo, il carico degli bagagli, l’obliterazione del titolo di viaggio che avvenga sul veicolo, l’apertura e la chiusura delle porte o dei finestrini, lo spostamento all’interno del mezzo; la sistemazione ai posti, ma non la discesa sulla scala d’accesso alla stazione metropolitana.
Omicidio colposo – Incidente stradale – Violazione dell’obbligo di fermarsi e prestare assistenza – Inadeguatezza della condotta di guida – Evitabilità dell’investimento dei pedoni – Principio di affidamento – Onere dell’utente della strada di essere prudente per evitare comportamenti rischiosi ma prevedibili di terzi – Valutazione in concreto della prevedibilità e dell’evitabilità dell’evento – Logicità della motivazione – Inammissibilità del ricorso
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIAMPI Francesco Mari – Presidente
Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere
Dott. CAPPELLO Gabriella – Consigliere
Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere
Dott. BRUNO Maria Rosaria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 21/10/2016 della CORTE APPELLO di LECCE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. VINCENZO PEZZELLA;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. CUOMO LUIGI che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
Udito il difensore avvocato (OMISSIS) del foro di LECCE in difesa di (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
- Con sentenza in data 19/12/2013, il Giudice in composizione monocratica del Tribunale di Lecce, in esito a giudizio svoltosi nelle forme del rito ordinario, ha dichiarato (OMISSIS) colpevole dei contestati reati di cui:
- a) articolo589 c.p., commi 2 e 4 per avere, alla guida di auto Smart Fortwo Coupe’ tg. (OMISSIS) di proprieta’ di suo padre (OMISSIS), per negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza delle norme sulla circolazione stradale – in particolare, percorrendo S.P. (OMISSIS), per non avere dato la dovuta precedenza ai pedoni (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali avevano gia’ intrapreso l’attraversamento della strada, nonostante la presenza di segnale verticale di “attraversamento pedonale” (articolo191 C.d.S., commi 1 e 2), per non avere regolato la sua velocita’ di guida in relazione alle caratteristiche e alle condizioni della strada ed all’ora notturna e per non avere prestato la dovuta attenzione alla guida e alla strada innanzi a se’, anche a causa dell’abuso di alcool, cosi’ giungendo all’intersezione con via (OMISSIS), in (OMISSIS), non avvedendosi di una fila di 5 pedoni che in fila indiana attraversava la strada dalla sua destra alla sua sinistra, facendo collidere la sua auto dapprima con (OMISSIS), che veniva proiettata a circa m. 20 sulla sinistra, e successivamente con (OMISSIS), che veniva caricato sulla vettura, sfondando il parabrezza e poi sbalzato sull’asfalto – cagionato la morte di (OMISSIS) avvenuta per trauma cranio encefalico con fratture multiple della volta e della base cranica e lesioni a (OMISSIS), consistite in trauma cranico con ematoma epidurale, trauma addominale con contusione rene, trauma toracico e frattura della fibula con prognosi riservata. In (OMISSIS).
- b) articolo189 C.d.S., comma 6, per essersi fermata, dopo il verificarsi dell’incidente di cui al capo a), per prestare soccorso alle vittime, allontanandosi senza nemmeno rallentare a bordo dell’auto Smart tg. (OMISSIS). In (OMISSIS).
Con tale sentenza, il tribunale salentino ha condannato la (OMISSIS), previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche valutate equivalenti alla aggravante contestata al capo a), alla pena di anni uno mesi sei di reclusione per il reato di cui al capo a) ed a quella di mesi sei di reclusione per il reato di cui al capo b) nonche’ alla sanzione accessoria della sospensione della patente di guida per la durata di anni due e mesi sei oltre al risarcimento dei danni, in solido con il responsabile civile, in favore delle costituite parti civili e ad una provvisionale immediatamente esecutiva.
- Pronunciando sull’appello sia del difensore dell’imputata che di quello del responsabile civile, (OMISSIS) S.P.A., la Corte di Appello di Lecce, con sentenza del 21/10/2016, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato il suddetto responsabile civile, in solido con l’imputata, al risarcimento dei danni in favore della parte civile (OMISSIS) gia’ liquidati in curo 2.000,00. Ha inoltre condannato l’imputata ed il responsabile civile, in solido tra loro” alla rifusione delle spese del grado in favore della parte civile (OMISSIS) e delle altre difese tutte dall’avv. (OMISSIS), revocato le statuizioni civili in favore della parte civile (OMISSIS) e confermato nel resto l’impugnata sentenza.
- Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, la (OMISSIS), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo173 disp. att. c.p.p., comma 1:
In primo luogo il difensore ricorrente impugna la statuizione dell’ordinanza ammissiva della costituzione di p.c. a favore della (OMISSIS) siccome (su opposizione del difensore dell’imputata) statuita dai primi giudici e confermata dal giudice di appello per inosservanza o erronea applicazione dell’articolo 74 c.p.p. e segg. e ne chiede, in ogni caso, ex articolo 88 c.p.p. l’esclusione di ufficio non avendo nel corso del dibattimento la stessa parte dimostrato la esistenza di concreta e specifica lesione di interessi attribuibili alla azione dell’imputata, che genera danni risarcibili. Non sussiste, infatti, secondo il ricorrente,diritto alcuno (e nessuna prova e’ stata fornita a dibattimento) al risarcimento di danni per (OMISSIS). La avvenuta ammissione della parte civile – secondo la tesi propsettata in ricorso- non era e non e’ in re ipsa sufficiente a giustificare la decisione sul diritto alle restituzioni ed al risarcimento del danno (a mente dell’articolo 88 c.p.p.) se detto danno non emerge in modo inequivoco (id est non viene attestato e dimostrato nel corso del giudizio dibattimentale).
Il ricorrente deduce, inoltre:
- Nullita’ della sentenza ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita’, di inutilizzabilita’, di inammissibilita’ o di decadenza con riferimento all’articolo 191c.p.p. nonche’ all’articolo 354c.p.p. e articoli 114 e 356 disp. att. c.p.p..
Si eccepisce la nullita’ o, gradatamente, l’inutilizzabilita’ ex articolo 191 c.p.p. del risultato relativo al tasso alcolemico. Si rileva che il test eseguito va ricondotto nella tipologia degli atti di P. G. urgenti ed indefettibili di cui all’articolo 354 c.p.p. e che per tali atti l’articolo 356 disp. att. c.p.p. prevede la facolta’ della parte di farsi assistere dal difensore, il quale ha, pertanto, diritto di presenziare alle operazioni, senza che questo possa comportarne il ritardo. Orbene, se e’ pur vero che il diritto di partecipare non implica anche quello all’avviso delle operazioni non vi e dubbio che la parte va informata della facolta’ di farsi assistere dal difensore ai sensi dell’articolo 114 disp. att. c.p.p.in modo espresso e chiaro, non utilizzando un mero file prestampato e cio’ “indipendentemente dal fatto che il conducente non eccepisca la nullita’ al momento in cui viene steso il relativo verbale” (viene richiamata in proposito la sentenza 42667/2013 di questa Sez. 4).
L’accertamento condotto sulla (OMISSIS), inoltre, offrirebbe solo conferma qualitativa dell’assunzione di modica quantita’ di alcool ma nulla direbbe con certezza e precisione sul quantitativo. Ne conseguirebbe che l’accertamento doveva essere seguito dal prelievo ematico per avere il dato certo, in assenza del quale il modestissimo sforamento della soglia di punibilita’ imponeva da un lato la inutilizzabilita’ del dato, dall’altro, ove si intendesse superata detta inutilizzabilita’, il dubbio ragionevole sulla sussistenza dello stesso. Cio’ anche in conformita’ all’articolo 186, comma 5 che prescrive che, per i conducenti coinvolti in incidenti, l’accertamento del tasso alcolemico deve essere effettuato dalle strutture sanitarie, per assicurare che lo stesso sia effettuato con maggiori garanzie attese le conseguenze che il fatto ha sul lato del risarcimento del danno. Nella specie, invece, e’ invece pacifico, il mero utilizzo del test a mezzo etilometro.
- Nullita’ della sentenza ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) per inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale nonche’ ex articolo606 c.p.p., comma 1, lettera e) per mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione.
Si censura come illogica e contraddittoria la motivazione offerta al riguardo dalla Corte territoriale secondo cui le conclusioni del CT Ing. (OMISSIS) sarebbero frutto di una analisi della vicenda erroneamente limitata ad aspetti marginali apparendo piu’ logica ricostruzione offerta dal CT del P.M..
Si deduce che la (OMISSIS) si e’ trovata nell’oggettiva impossibilita’ di evitare l’incidente, nonostante l’osservanza generale delle norme sulla circolazione stradale e quelle di comune diligenza prudenza. Tanto anche in forza dell’articolo 190 C.d.S., sul rilievo che il primo giudice non ha valorizzato la circostanza che i pedoni, attraversando la strada al di fuori delle strisce pedonali, di notte e senza illuminazione e venendo meno all’obbligo di dare la precedenza ai veicoli, avevano creato un grave pericolo e intralcio a se ed alla circolazione stradale.
Tale pericolo – si evidenzia – e’ stato attestato dalle s.i.t. di (OMISSIS) (rese sotto giuramento da un soggetto ben consapevole del valore del suo dire poiche’ magistrato) che ebbe dichiarare a pag. 9 del v.u. del 10/4/2013:” … tant’e’ che io fui colto di sorpresa della presenza, perche’ il mio scooter proiettava un fascio di luce che non e’ che fosse chissa’ cosa, quand’ho visto il primo di questi ragazzi, che poi ricordo, perche’ ci ho parlato dopo, fui preso quasi di sorpresa, perche’ per me fu come vedere uno spettro, cioe’ dal nulla, dal buio pesto me lo sono visto davanti e credo anche di avergli detto qualche parolina, perche’ erano totalmente invisibili”(pag. 9).
Sarebbe pacifica, pertanto, la colpa dei danneggiati nella causazione del sinistro che assorbe l’intero rapporto causale.
Per il difensore ricorrente (OMISSIS) deve essere esentata da responsabilita’ poiche’ la condotta delle parti lese pedoni configura, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista ne’ prevedibile, che e’ stata da sola idonea a produrre l’evento, ex articolo 41 c.p., comma 2.
La conducente del veicolo Smart investitore – secondo tale tesi – si sarebbe trovata, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza stante anche le considerazioni sulla velocita’ di marcia, svolte dai C.T, nell’oggettiva impossibilita’ di “avvistare” i pedoni e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile tanto da fare dire al Dott. (OMISSIS) (teste): “credo anche di avergli detto qualche parolina, perche’ erano totalmente invisibili”.
L’incidente dovrebbe percio’ ricondursi, eziologicamente, in modo proprio ed esclusivo, alla condotta dei pedoni, avulsa totalmente dalla condotta del conducente ed operante in assoluta autonomia rispetto a quest’ultima.
A questo aggiungasi – prosegue il ricorrente- che le dichiarazioni acquisite in atti hanno evidenziato (a mezzo dell’intervento degli Amministratori pubblici, di rappresentanti istituzionali come l’allora Sottosegretario di Stato dr. (OMISSIS) e soprattutto delle accuse dei residenti estivi in zona che hanno dichiarato di essere stati o potenziali vittime o potenziali (involontari) investitori per carenze strutturali della strada in questione dettagliatamente descritte – assenza illuminazione, assenza marciapiedi, assenza segnaletica orizzontale e verticale… -) la responsabilita’ della competente P.A.. Cio’ in quanto la strada in questione (S.P. (OMISSIS) altezza incrocio con Via (OMISSIS)) come risulta dalle dichiarazioni suddette era (all’epoca dell’occorso) priva di illuminazione e di segnaletica stradale e di ogni altro arredo previsto dal codice della strada.
Per l’effetto, ad avviso del ricorrente: 1. Pare ben configurabile una responsabilita’ in capo all’Ente proprietario e gestore della strada per non aver operato, pur avendo avuto la P.A. formali diffide, per, limitare i rischi legati alla tutela del “bene vita” dei pedoni, dei ciclisti e degli automobilisti che, soprattutto in estate circolano quotidianamente in numero elevatissimo sul tratto stradale in questione. 2. La notorieta’ di tali rischi (cfr. dichiarazione del popolare uomo di spettacolo (OMISSIS), in atti) avrebbe obbligato di prevenire eventuali episodi dannosi, essendo pacifica la circostanza che gli accorgimenti tecnici (primo dei quali la illuminazione del sito) avrebbero consentito alla generalita’ degli utenti di quella strada maggiore sicurezza e tutela della propria e altrui incolumita’. 3. Si configura il reato omissivo improprio, qualora il soggetto che ha posto in essere la condotta omissiva abbia l’obbligo giuridico di impedire l’evento, in forza di una norma che lo ponga in una posizione di protezione, garanzia e di salvaguardia del bene protetto. 4. Ne consegue che, pur non sussistendo un obbligo di protezione di ampia portata individuabile in capo al sindaco ed al responsabile dell’ufficio tecnico del Comune in quanto responsabili della sicurezza del territorio, vi sono specifiche disposizioni di legge che rendono i suddetti soggetti, nella ricorrenza dei presupposti richiesti, destinatari dell’obbligo di garantire la sicurezza dei consociati. 5. Nel caso di specie, le strade e loro pertinenze sono regolate dalla L. n. 2248 del 1865, articolo 28, all. F, che stabilisce un obbligo di manutenzione e deve considerarsi che il CDS costituisce fonte dell’obbligo giuridico di impedire, ai sensi dell’articolo 40 cpv c.p., eventi dannosi connessi alla circolazione stradale con la conseguenza. che rimanere “sordi” alle diffide dei cittadini al fine di rendere la sede stradale meno pericolosa e con minori sinistri gravi significa concorrere a provocare ex articolo 40 c.p., comma 2, l’incidente stradale sia con esito mortale che di minore gravita’.
- Nullita’ della sentenza ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) per inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale in relazione all’articolo189 C.d.S..
Il ricorrente, richiamando il dictum di questa Sez. 4 n. 11491/13 ricorda che non costituisce reato allontanarsi dal luogo dell’incidente, dopo essersi assicurati che il soccorso necessario e’ stato prestato e se non e’ certo l’intervento dell’organo di polizia che tarda ad arrivare sul posto, ove il conducente si sia reso identificabile.
La giovanissima (OMISSIS) – evidenzia il ricorso – continuo’ la marcia per pochi metri al solo fine di allertare il padre (in atti ampia indicazione della circostanza) che abitava in loco per meglio garantire – a cura di una persona lucida e matura i soccorsi essendo scioccata dall’accaduto Non omise il soccorso ma lo agevolo’ e Io rese ancor piu’ valido ed efficace facendo immediatamente intervenire il proprio padre ed allertando anche, i CC del luogo. Lungi dalle volonta’ dell’imputata, quindi, la necessita’ di non farsi identificare e di sfuggire ai rigori della legge. Addirittura (anche quanto appresso accertato dagli atti) si sottopose spontaneamente all’accertamento alcolico che avvenne presso la sua abitazione, su sua precisa richiesta, essendo ancora sotto shock.
Per il difensore ricorrente le dichiarazioni acquisite in atti impongono, ad’ una corretta lettura di legge, detta soluzione cui dovra’ seguire ogni conseguente statuizione, ivi compresa la riduzione della sanzione amministrativa accessoria ex articolo 222 C.d.S..
- Nullita’ della sentenza ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) per inosservanza o erronea applicazione di legge nonche’ ex articolo606 c.p.p., comma 1, lettera e) per mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione in relazione all’articolo 62 bisc.p. e all’articolo 175 c.p..
Il ricorrente lamenta che la formula adottata dalla Corte leccese ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche rinvii solo ad un generico riferimento all’ultimo comma dell’articolo 62 bis c.p. u.c., omettendo ogni valutazione in ordine: 1. allo stato di incensuratezza dell’imputata; 2. alla assoluta assenza di carichi pendenti; 3. alla condotta processuale ed alla regolare condotta di vita precedente e successiva al reato; 4. alle condizioni dei luoghi descritte nei motivi di doglianza precedenti; 5. alla moderata velocita’; 6., all’avere consumato l’imputata (ove il dato sia confermato nella sua utilizzabilita’) solo una birra da 33 cl, ed ogni altra circostanza relativa alla dinamica del sinistro (ivi compresa la condotta delle parti offese, siccome sopra indicata).
I giudici di primo grado e di appello – ci si duole – avevano a disposizioni, sia nella vicenda processuale che sostanziale, corposi elementi di fatto che potevano far ritenere meno grave la condotta o l’aspetto psicologico del reo, si’ da risultare equa una riduzione di pena, sino ad un terzo.
La Corte di Lecce, limitandosi a richiamare genericamente l’articolo 62 bis c.p., u.c., fornirebbe una motivazione viziata alla luce di quanto espresso nelle pronunce 15491/2012 e 11732/2012 di questa Corte.
Del tutto omesso sarebbe, inoltre, il giudizio sulla condotta susseguente al reato della (OMISSIS) che ha cercato (come attestano tutti gli organi di stampa locali e nazionali) di persona e a mezzo dei suoi genitori su sua delega di riconciliarsi con la parte lesa.
Il difensore ricorda anche che, anche per suo tramite, la (OMISSIS) ha poi effettuato ogni debita pressione sulla Compagnia di Assicurazioni che la mallevava per la rc. onde agevolare e favorire il giusto risarcimento dei danni.
In fase successiva – inoltre – non ha riportato alcun carico pendente e – pur priva di patente di guida – ha con grande fatica e laboriosita’ conservato il posto di lavoro facendo la commessa in un negozio di abbigliamento in centro diverso dal Comune di residenza ((OMISSIS)) dove per tre anni circa e’ stata accompagnata quotidianamente dai genitori quattro volte al giorno.
Tanto la rendeva (unitamente alle evidenziate ulteriori circostanze), ad avviso del ricorrente, anche secondo la lettura costituzionalmente orientata (il richiamo e’ alla sentenza 10 giugno 2011, n. 183 della Corte Costituzionale) per la condotta successiva al reato del beneficio (attenuanti generiche e non menzione) richiesto.
- Nullita’ della sentenza ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) per inosservanza o erronea applicazione di legge in relazione all’articolo538 c.p.p.e articolo 541 c.p.p..
Rileva il ricorrente che la quantificazione del danno si palesa priva di opportuna motivazione (anche con riferimento al danno liquidato alla Associazione (OMISSIS)) che risulta non necessaria se (e solo se) l’importo rientri nell’ambito del danno prevedibile (cfr. Sez. 6 sentenza n. 49877 del 30/12/2009).
Si sostiene che la condotta delle pp.oo sarebbe idonea ad integrare l’articolo 1227 c.c., comma 2 (applicabile anche in materia di responsabilita’ aquiliana per il richiamo contenuto nell’articolo 2056 c.c.) che esclude che il risarcimento sia dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.
Cio’ comportava e comporta – si sostiene in ricorso – la compensazione totale o parziale di spese e competenze di primo grado ex articolo 541 c.p.p. che formalmente si invoca.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con tutte le conseguenze di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
- I motivi sopra illustrati sono tutti manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
- Ed invero, il difensore ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si e’ nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni gia’ devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata che in questa sede non viene in alcun modo sottoposta ad autonoma ed argomentata confutazione. Ed e’ ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni gia’ discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.
La mancanza di specificita’ del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericita’, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non puo’ ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita’ che conduce, a norma dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c) alla inammissibilita’ della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693).
E ancora di recente, questa Corte di legittimita’ ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilita’ delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericita’ delle doglianze che, cosi’ prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).
- Quanto al primo motivo di ricorso, gia’ la Corte territoriale ha evidenziato come dal verbale in atti si rilevi che la (OMISSIS), prima di essere sottoposta all’alcooltest, sia stata informata della facolta’ di farsi assistere da un difensore di fiducia ai sensi dell’articolo356 c.p.p..
Del resto, tale circostanza non pare essere posta in dubbio nemmeno dal difensore ricorrente che, tuttavia, adduce una generica necessita’ che la sua assistita dovesse essere informata “in modo espresso e chiaro”, non comprendendosi da cosa si desuma che cio’ non sia avvenuto.
Del tutto priva di fondamento, invece, e’ la doglianza per cui, al fine di accertare che la (OMISSIS) si fosse posta alla guida dopo avere assunto dell’alcool, occorresse fare seguire all’alcooltest il prelievo ematico.
Quanto al secondo motivo, lo stesso e’ tutto incentrato su una diversa ricostruzione del fatto, che non puo’ essere apprezzata in questa sede.
Va ricordato che le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio e dell’attribuzione dello stesso alla persona dell’imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimita’, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
Peraltro, per assunto pacifico, la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia – valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle relative responsabilita’, determinazione dell’efficienza causale di ciascuna colpa concorrente – e’ rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimita’ se sorretti da adeguata motivazione (ex pluribus, Sez. 4, 10 febbraio 2009, Pulcini).
Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che, peraltro fondandosi in gran parte sulle dichiarazioni del soggetto che era in compagnia dell’imputata, aveva valutato tutti gli altri elementi di prova, gia’ chiaramente confutando, nel provvedimento impugnato tutte le tesi oggi riproposte.
Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimita’ sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi sez. 3, n. 12110/2009 n. 12110 e n. 23528/2006). Ancora, la giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ ha affermato che l’illogicita’ della motivazione, per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del 24.11.1999, Spina, rv. 214794). E, piu’ di recente, e’ stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), il controllo di legittimita’ sulla motivazione non attiene ne’ alla ricostruzione dei fatti ne’ all’apprezzamento del giudice di merito, ma e’ circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorieta’ della motivazione o di illogicita’ evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542)
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c’e’, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilita’ di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E cio’ anche alla luce del vigente testo dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46.
- Il giudice di legittimita’ non puo’ procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Il ricorrente non puo’, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicita’ e, in concreto, da cosa tale illogicita’ vada desunta.
Com’e’ stato rilevato nella citata sentenza 21644/2013 di questa Corte, la sentenza deve essere logica “rispetto a se’ stessa”, cioe’ rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione puo’ risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da “altri atti del processo”, purche’ specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.
Avere introdotto la possibilita’ di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del processo” costituisce invero il riconoscimento normativo della possibilita’ di dedurre in sede di legittimita’ il cosiddetto “travisamento della prova” che e’ quel vizio in forza del quale il giudice di legittimita’, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto e’ stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all’interno della decisione. In altri termini, vi sara’ stato “travisamento della prova” qualora il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste (ad esempio, un documento o un testimone che in realta’ non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia e’ risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell’imputato). Oppure dovra’ essere valutato se c’erano altri elementi di prova inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma – occorrera’ ancora ribadirlo – non spetta comunque a questa Corte Suprema “rivalutare” il modo con cui quello specifico mezzo di prova e’ stato apprezzato dal giudice di merito, giacche’ attraverso la verifica del travisamento della prova.
Per esserci stato “travisamento della prova” occorre, in altri termini, che sia stata inserita nel processo un’informazione rilevante che invece non esiste nel processo oppure si sia omesso di valutare una prova decisiva ai fini della pronunzia. In tal caso, pero’, al fine di consentire di verificare la correttezza della motivazione, va indicato specificamente nel ricorso per Cassazione quale sia l’atto che contiene la prova travisata o omessa.
Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre avere carattere di decisivita’. Diversamente, infatti, si chiederebbe al giudice di legittimita’ una rivalutazione complessiva delle prove che, come piu’ volte detto, sconfinerebbe nel merito.
- Se questa, dunque, e’ la prospettiva ermeneutica cui e’ tenuta questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza impugnata alcuna illogicita’ che ne vulneri la tenuta complessiva.
Il ricorrente non contesta il travisamento di una specifica prova, ma sollecita a questa Corte una diversa lettura dei dati processuali, e in particolare di talune testimonianze, non consentito in questa sede di legittimita’.
Gia’ in appello l’odierno ricorrente aveva sostenuto che dall’istruttoria dibattimentale svolta sarebbe emerso che l’evento lesivo si sarebbe verificato per responsabilita’ esclusiva dei pedoni, i quali avrebbero tenuto una condotta assolutamente imprevedibile e anormale, attraversando all’improvviso la strada senza essere visibili, onde la (OMISSIS) si sarebbe trovata nella oggettiva impossibilita’ di avvistarli, e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti, sicche’ si sarebbe in presenza di una causa sopravvenuta idonea ad interrompere il nesso di causalita’ ex articolo 41 c.p., comma 2, in quanto da sola sufficiente a determinare l’evento. E sempre in appello la difesa dell’imputato – come si ricorda nel provvedimento impugnato – aveva sostenuto che il giudice di prime cura non avesse valorizzato adeguatamente ed in modo completo le circostanze di fatto emerse nel corso del dibattimento (il fatto che la vicenda si sia verificata di notte in una strada carente di illuminazione pubblica e pericolosa, circostanza a tutti nota).
Ebbene, il giudice del gravame di merito con motivazione specifica, coerente e logica ha gia’ argomentatamente confutato tali tesi, oggi, come detto, riproposte tout court giungendo alla conclusione che, tenuto conto della velocita’ di marcia non elevata con cui viaggiava la SMART, in detto lasso temporale – significativamente coincidente con quello necessario a percorrere la distanza dal punto in cui, secondo gli accertamenti compiuti dal consulente del P.M. di notte con una autovettura simile a quella in uso alla (OMISSIS), era possibile il primo avvistamento dei pedoni da parte del conducente della SMART – l’appellante ben, poteva rallentare il veicolo fino a fermano cosi’ evitando l’impatto con i pedoni.
L’impatto si e’ invece verificato – secondo il concorde e logico argomentare dei giudici di merito – perche’ la (OMISSIS), pur avendo la possibilita’ di avvistare utilmente i pedoni, non si e’ accorta della loro, presenza sulla carreggiata in fase avanzata di attraversamento perche’ distratta o disattenta probabilmente per l’ora tarda e la comprovata assunzione di alcolici (viene ricordato in sentenza in proposito che i primi del gruppo, che procedevano a pochissima distanza dagli altri, hanno evitato l’impatto con l’auto condotta dalla (OMISSIS) solo perche’ sono riusciti a completare la manovra di attraversamento prima dell’arrivo di quest’ultima).
- La sentenza impugnata da’ argomentatamente atto degli elementi da cui desume la colpa dell’odierna ricorrente, tenuto conto che, dall’istruttoria svolta nel corso del giudizio di primo grado e’ emerso che: a. L’incidente di cui ci si occupa si e’ verificato la notte del (OMISSIS), tra le 2.00 e le 2.30, sulla strada provinciale che attraversa la localita’ balneare di (OMISSIS) e che e caratterizzata dall’assenza di marciapiedi e dalla presenza lungo entrambi i margini dei muri di recinzione di alcune abitazioni; b. Le vittime, (OMISSIS), deceduta, e (OMISSIS), gravemente ferito, sono state investite dall’autovettura SMART condotta dalla (OMISSIS) con a bordo anche il passeggero (OMISSIS); c. La carreggiata su cui e avvenuto l’incidente, la (OMISSIS), e’ larga sei metri ed ha nel senso percorso dalla SMART un andamento sinistrorso che non impedisce tuttavia l’avvistamento profondo, come si evince dalle fotografie in atti allegate alle vane consulenze ed all’iniziale sopralluogo dei carabinieri; d. Non e’ presente illuminazione pubblica mentre vi e’ segnaletica orizzontale (la linea di mezzeria che si interrompe in corrispondenza dei vari incroci) e nel senso di marcia percorso dalla SMART anche verticale costituita da un pannello con il segnale di pericolo e limite di velocita’ di 50 Km/ h e la scritta zona abitata, da un successivo pannello sospeso con la scritta a carattere cubitali “RALLENTARE CENTRO ABITATO” ed infine, a circa 26 metri dalla zona di collisione, un segnale che preavvisa della presenza di un attraversamento pedonale ubicato a circa 100 metri dopo quest’ultima zona segnalato dalle strisce pedonali. e. Nella SMART sono presenti i segni di due distinti urti verificatisi rispettivamente sull’angolo superiore sinistro dei parabrezza (prima collisione con la (OMISSIS)) e sulla parte centrale del frontale (secondo impatto con il (OMISSIS)). f. Al momento dell’impatto, la SMART procedeva ad una velocita’ di marcia stimabile, sulla scorta delle condivisibili argomentazioni espresse sul punto dal primo giudice (pagg. 11 e 12 della sentenza di primo grado), tra i 45 ed i 50 Km/h. g. Secondo gli esperimenti compiuti sullo scenario del sinistro dal consulente del P.M., le sagome dei pedoni in fase di attraversamento, erano visibili, considerando sempre il senso marcia della SMART, da una distanza di 40 metri; piu’ precisamente, a quest’ultima distanza erano visibili i piedi dei pedoni, a 30 metri le gambe e cosi’ via.
- Prima dell’urto, la (OMISSIS) ed il (OMISSIS) si trovavano in compagnia di altri tre amici con i quali avevano deciso di raggiungere a piedi la spiaggia posta oltre la strada provinciale che pertanto dove essere attraversata. i. Il gruppo di cinque ragazzi, che procedeva “unito” anche “non fila” con i componenti comunque posti l’uno accanto all’altro, decideva di oltrepassare la carreggiata della strada provinciale immediatamente dopo il transito di un motociclo che alla loro vista aveva decelerato (quello condotto dal teste (OMISSIS) che procedeva in direzione opposta a quella seguita dalla SMART) e dopo avere controllato che l’autovettura guidata dalla (OMISSIS) si trovasse ad una distanza rilevante, comunque sufficiente a garantire un attraversamento sicuro. L. Dopo l’urto, la (OMISSIS), nonostante l’invito a fermarsi rivoltole pii volte dal passeggero, (OMISSIS), proseguiva la marcia dirigendosi verso la sua abitazione, posta nelle immediate vicinanze, dove chiedeva aiuto la padre, (OMISSIS), il quale si recava sul posto del sinistro e presso la Stazione dei Carabinieri di Porto Cesareo comunicando che l’autovettura investitrice era condotta dalla figlia; m. La (OMISSIS), sottoposta al test alcolemico tramite etilometro in dotazione ai carabinieri della Compagnia di Campi Salentina, presentava una concentrazione di alcol nel sangue pari a 0,69 g/l al primo controllo effettuato alle 3.39 ed una concentrazione di 0,71 g/l al secondo controllo eseguito alle 3.49.
Non appare fondato, peraltro, il rilievo difensivo secondo cui i giudici di merito avrebbero trascurato di prendere in considerazioni le argomentazioni del consulente di parte ing. (OMISSIS). La Corte territoriale, peraltro, da’ atto che l’esattezza della ricostruzione dei fatti sopra illustrata non e’ stata messa in discussione neanche dalle obiezioni sollevate dal consulente della difesa, ing. (OMISSIS) “il quale, a ben vedere, si e’ limitato a contestare un aspetto secondario vale a dire la visibilita’ a distanza degli arti inferiori nell’eventualita’ in cui i pedoni indossassero indumenti di colore scuro”.
- Sulla base delle sopra esposte circostanze di fatto i giudici di merito hanno logicamente ritenuto poter affermarsi che la (OMISSIS), in violazione di una regola cautelare di fonte sociale (e quindi tenendo un comportamento negligente, imprudente o imperito) nonche’ della regola cautelare specifica di cui all’articolo191 C.d.S., abbia tenuto nel caso concreto, una condotta di guida non adeguata, non prestando quella dovuta attenzione, a causa dell’ora tarda e dei riflessi appannati dall’assunzione di alcolici, che le avrebbero consentito – in presenza di una condotta di guida adeguata per velocita’ e livello di attenzione (c.d. comportamento alternativo lecito) – di avvistare i pedoni che attraversavano la strada e di arrestare la marcia della propria auto in tempo utile ad evitare l’impatto con gli stessi ed il conseguente evento lesivo. In ultima analisi, in considerazione delle condizioni spazio-temporali dell’incidente, della buona visibilita’, delle modalita’ di attraversamento dei pedoni, e’ stato correttamente ritenuto che, se la conducente dell’autoveicolo investitore fosse stata vigile ed attenta, avrebbe potuto avvedersi dell’attraversamento ed arrestare la marcia, evitando l’investimento, che, invece, si e’ verificato.
La logica conclusione e’ stata quella di ritenere non soltanto che dovesse ritenersi sussistente la colpa nella condotta tenuta dalla (OMISSIS), ma anche la non configurabilita’ – nella condotta incauta pur eventualmente incauta tenuta dai pedoni – di una causa sopravvenuta idonea ad escludere il nesso di causalita’ tra la condotta posta in essere dall’imputato e l’evento lesivo, in applicazione del principio conferentemente richiamato di cui affermato nella sentenza 11954/2010, secondo cui sono cause sopravvenute o preesistenti, da sole sufficienti a determinare l’evento, quelle del tutto indipendenti dalla condotta dell’imputato, sicche’ non possono essere considerate tali quelle che abbiano causato l’evento in sinergia con la condotta dell’imputato, atteso che, venendo a mancare una delle due, l’evento non si sarebbe verificato.
- I giudici del gravame del merito, con motivazione priva di aporie logiche, hanno escluso che i pedoni ed in particolare le vittime, (OMISSIS) e (OMISSIS), abbiano posto in essere una manovra altamente imprudente e comunque imprevedibile attraversando repentinamente la carreggiata, nonostante la brevissima distanza cui si trovava l’autovettura in marcia di avvicinamento condotta dalla (OMISSIS), la quale, da parte, sua non poteva accorgersi della loro presenza.
La Corte territoriale aderisce argomentatamente a quanto gia’ affermato dal primo giudice (pagg. 15 e 16 della sentenza di primo grado), ritenendo che i pedoni, operando l’attraversamento di una carreggiata priva di illuminazione pubblica ed in un punto privo di strisce pedonali, non hanno violato alcuna norma del codice della strada perche’ da un canto impossibilitati a vedere le strisce piu’ vicine perche’ non illuminate e, dall’altro, non obbligati ad usare le strisce piu’ lontane anche se illuminate perche’ distanti pur di cento metri. I pedoni, inoltre, rileva ancora la sentenza impugnata, hanno iniziato l’attraversamento impegnando la carreggiata quando l’autovettura condotta dall’appellante si trovava ad una distanza notevole, comunque idonea a consentire al suo conducente l’osservanza della norma prevista dall’articolo 191 C.d.S., comma 2, che impone di “consentire al pedone di raggiungere il lato opposto in condizioni di sicurezza”.
Sulla circostanza che i pedoni avessero attraversato dopo avere constatato che l’auto guidata dalla (OMISSIS) che sopraggiungeva fosse sufficientemente lontana – come evidenzia la Corte territoriale – esiste piena convergenza tra le dichiarazioni rese da tutti i componenti del gruppo di pedoni: (OMISSIS) ha parlato “di fari di luci molto lontani che credo fossero prima dell’insegna (OMISSIS)”; (OMISSIS) ha fatto riferimento ad “una macchina in lontananza… che poteva stare oltre l’insegna (OMISSIS) molto lontana”; (OMISSIS), ha riferito di “una macchina in lontananza (circa trecento metri da noi)”, infine, il (OMISSIS), dopo avere ripetutamente affermato che al momento dell’attraversamento la “situazione era tranquilla”, ha ricordato la presenza “di una macchina che veniva in lontananza”.
Rileva ancora la Corte territoriale che in ordine alla circostanza che l’attraversamento da parte dei pedoni abbia avuto inizio quando la (OMISSIS) era gia’ in grado di avvistarli tempestivamente e, quindi, di adottare in concreto una condotta di guida utile ad evitare l’evento lesivo addebitatole si evince non solo dalle illustrate dichiarazioni rese dagli stessi pedoni, ma, soprattutto, dalla ricostruzione fornita dal passeggero (OMISSIS) presente nell’autovettura condotta dall’appellante. Il (OMISSIS) ha, infatti, riferito, di avere visto prima dell’impatto “un gruppo di ragazzi che attraversava la strada da destra verso sinistra… verso la spiaggia” e di avere avuto anche il tempo di accorgersi che alcuni di loro “riuscivano ad attraversare” ad eccezione di “una persona di sesso maschile che si avvicinava sempre di piu’ alla nostra auto” e che, dopo “un forte tonfo”, fluiva “sul parabrezza della macchina”.
Viene poi ricordato che anche il teste (OMISSIS), il quale percorreva la (OMISSIS) qualche secondo prima del sinistro in direzione opposta a quella seguita dalla (OMISSIS), nonostante le peggiori condizioni di visibilita’, perche’ alla guida di un veicolo’ fornito di un solo faro, ha comunque avuto modo di vedere nitidamente – nonostante in dibattimento abbia parlato di “spettri totalmente invisibili” – il gruppo di pedoni che attraversava la carreggiata, arrivando persino ad accorgersi che il primo della fila era “arrivato alla linea di mezzeria” e che, come si legge nel verbale di s.i.t., redatto nell’immediatezza ed acquisito con n consenso delle parti, i ragazzi avevano in mano “ombrelloni buste, zaini e cose varie probabilmente con l’intento di recarsi nella spiaggia”.
La logica conclusione dei giudici di merito, nella loro doppia conforme affermazione di responsabilita’ dell’odierna ricorrente, e’ stata che, cosi’ come l’appena citato teste (OMISSIS), che ebbe a rallentare la marcia del suo ciclomotore, ed ancora di piu’ come il passeggero a bordo della sua autovettura, (OMISSIS), anche la (OMISSIS) – peraltro a differenza di quest’ultimo, impegnata nella guida e quindi maggiormente attenta all’eventuale presenza di ostacoli o insidie che potevano intralciare la marcia del veicolo – abbia avuto a sua disposizione prima dell’impatto un periodo di tempo, non irrisorio perche’ sufficiente a consentire al (OMISSIS) ed al (OMISSIS) di vedere e memorizzare alcune circostanze sicuramente avvenute.
Il (OMISSIS), in particolare, ha avuto il tempo di accorgersi della presenza di piu’ persone ai margini della carreggiata che si accingevano ad attraversare, del completamento della manovra di attraversamento da parte di alcuni pedoni e, infine, del rapido avvicinamento dell’auto ad uno dei pedoni fino all’urto finale.
- Per la Corte territoriale, dunque, nel determinismo causale dell’evento, cosi’ ricostruito, la “intrinseca pericolosita’” della strada percorsa dalla (OMISSIS) non ha svolto un ruolo decisivo e comunque tale da elidere la responsabilita’ dell’odierna appellante, al pari della condotta dei pedoni (OMISSIS) e (OMISSIS).
La condotta delle persone offese non rappresenta nella specie una “causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l’evento”, non risultando un evento del tutto eccezionale, atipico, non previsto ne prevedibile, se non altro perche’ il conducente, ove avesse osservato gli obblighi di diligenza ed attenzione nella guida dell’autovettura, si sarebbe trovato non solo nella possibilita’ di avvistare entrambe le vittime ma anche nella possibilita’ di osservarne per tempo i movimenti in modo da evitare l’impatto rivelatosi letale
Ma se anche vi fosse stato un comportamento imprudente dei pedoni – che, va ribadito, non e’ la conclusione cui argomentatamente pervengono i giudici del merito – la sentenza oggi impugnata si collocherebbe comunque correttamente nell’alveo della consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ in relazione al cosiddetto principio dell’affidamento – complessa questione teorica, ricca di implicazioni applicative – evocato in ricorso a favore dell’imputato assumendosi la non prevedibilita’ del comportamento tenuto dalla persona offesa, che avrebbe attraversato la strada imprudentemente.
Ancora di recente questa Corte di legittimita’ ha affermato che il principio dell’affidamento, nello specifico campo della circolazione stradale, trova opportuno temperamento nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada e’ responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purche’ rientri nel limite della prevedibilita’ (vedasi Sez. 4, n. 27513 del 10/5/2017, Mulas, Rv. 269997 in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza con la quale era stata affermata la responsabilita’ per lesioni del conducente di un ciclomotore che aveva investito un pedone mentre attraversava al di fuori delle strisce pedonali, in un tratto rettilineo ed in condizioni di piena visibilita’, per la condotta di guida non idonea a prevenire la situazione di pericolo derivante dal comportamento scorretto del pedone, rischio tipico e ragionevolmente prevedibile della circolazione stradale).
Va ricordato che il principio dell’affidamento, in tema di circolazione stradale, trova un temperamento, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimita’, nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada e’ responsabile anche del comportamento imprudente altrui purche’ questo rientri nel limite della prevedibilita’ (cfr. ex multis la recente Sez. 4, n. 5691 del 2/2/2016, Tettamanti, Rv. 265981, relativa ad un caso in cui la Corte ha confermato la sentenza impugnata ritenendo la responsabilita’ dell’imputato che, alla guida della propria vettura, aveva effettuato un repentino cambio dalla corsia di sorpasso a quella di destra senza segnalare per tempo la sua intenzione, andando cosi’ a collidere con un motociclo che sopraggiungendo dietro di lui aveva tentato, imprudentemente, di sorpassarlo a destra).
Nell’affermare il medesimo principio, con altra condivisibile pronuncia (Sez. 4, n. 12260 del 9/1/2015, Moccia ed altro, Rv. 263010), questa Corte aveva annullato la sentenza con la quale era esclusa la responsabilita’ del guidatore per omicidio colposo di un pedone, il quale, sceso dalla portiera anteriore dell’autobus in sosta lungo il lato destro della carreggiata, era passato davanti all’automezzo ed era stato investito dall’imputato, che aveva rispettato il limite di velocita’ ma non aveva provveduto a moderarla in ragione delle condizioni spazio-temporali di guida e, segnatamente, della presenza in sosta del pullman).
La giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ – come ricorda la sentenza impugnata- ha condivisibilmente statuito, fin da tempo risalente, che il conducente che noti sul percorso la presenza di pedoni che tardano a scansarsi, deve rallentare la velocita’ e, occorrendo, anche fermarsi; e cio’ allo scopo di prevenire inavvertenze e indecisioni pericolose dei pedoni stessi che si presentino ragionevolmente prevedibili e probabili” (cosi’ questa Sez. 4 sent. 8859/1988), in quanto la circostanza che i pedoni attraversino la strada improvvisamente o si attardino nell’attraversare costituisce un rischio tipico e quindi prevedibile della circolazione stradale. Sempre in tema di pedoni, questa Corte ha piu’ volte affermato che, in tema di reati colposi (omicidio o lesioni) posti in essere nell’ambito della circolazione stradale, per escludere la responsabilita’ del conducente per l’investimento del pedone e’ necessario che la condotta di quest’ultimo si ponga come causa eccezionale ed atipica, imprevista e imprevedibile dell’evento, che sia stata da sola sufficiente a produrlo (cosi’ questa Sez. 4, sent. n. 10635/2013 e, nello stesso senso sent. 33207/2013 secondo cui “il conducente del veicolo va esente da responsabilita’ per l’investimento di un pedone quando la condotta della vittima configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista ne’ prevedibile, da sola sufficiente a produrre l’evento, circostanza questa configurabile ove il conducente medesimo, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell’oggettiva impossibilita’ di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile”).
- Il Collegio ritiene pienamente condivisibile il percorso motivazionale di cui alla citata sentenza 5691/2016, che ritiene pertanto opportuno ripercorrere.
Il principio di affidamento – come si ricordava in quella pronuncia – costituisce applicazione del principio del rischio consentito: dover continuamente tener conto delle altrui possibili violazioni della diligenza imposta avrebbe come risultato di paralizzare ogni azione, i cui effetti dipendano anche dal comportamento altrui. Al contrario, l’affidamento e’ in linea con la diffusa divisione e specializzazione dei compiti ed assicura il migliore adempimento delle prestazioni a ciascuno richieste.
Nell’ambito della circolazione stradale tale principio e’ sotteso ad assicurare la regolarita’ della circolazione, evitando l’effetto paralizzante di dover agire prospettandosi tutte le altrui possibili trascuratezze.
Il principio di affidamento, d’altra parte, sarebbe da connettere pure al carattere personale e rimproverabile della responsabilita’ colposa, circoscrivendo entro limiti plausibili ed umanamente esigibili l’obbligo di rapportarsi alle altrui condotte.
Pertanto – come ricorda ancora la sentenza 5691/2016 – esso e’ stato efficacemente definito come una vera e propria pietra angolare della tipicita’ colposa.
Pacificamente, la possibilita’ di fare affidamento sull’altrui diligenza viene meno quando l’agente e’ gravato da un obbligo di controllo o sorveglianza nei confronti di terzi; o, quando, in relazione a particolari contingenze concrete, sia possibile prevedere – ed e’ il caso che ci occupa – che altri non si atterra’ alle regole cautelari che disciplinano la sua attivita’.
Un’analisi della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ in materia consente di individuarvi una tendenza, in ambito stradale, a escludere o limitare al massimo la possibilita’ di fare affidamento sull’altrui correttezza.
In tal senso vanno lette, ad esempio, le pronunce in cui si e’ affermato che, poiche’ le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza, proprio per fare fronte a situazioni di pericolo, anche quando siano determinate da altrui comportamenti irresponsabili, la fiducia di un conducente nel fatto che altri si attengano alle prescrizioni del legislatore, se mal riposta, costituisce di per se’ condotta negligente. Coerentemente con tale assunto, e’ stata percio’, ad esempio, confermata l’affermazione di responsabilita’ in un caso in cui la ricorrente aveva dedotto che, giunta con l’auto in prossimita’ dell’incrocio a velocita’ moderata e, comunque, nei limiti della norma e della segnaletica, aveva confidato che l’autista del mezzo che sopraggiungeva arrestasse la sua corsa in ossequio all’obbligo di concedere la precedenza (cfr. Sez. 4, n. 4257 del 28/3/1996, Lado, Rv. 204451). E, ancora, sulle medesime basi si e’ affermato, che anche nelle ipotesi in cui il semaforo verde consente la marcia, l’automobilista deve accertarsi della eventuale presenza, anche colpevole, di pedoni che si attardino nell’attraversamento in quanto il conducente favorito dal diritto di precedenza deve comunque non abusarne, non trattandosi di un diritto assoluto e tale da consentire una condotta di guida negligente e pericolosa per gli altri utenti della strada, anche se eventualmente in colpa (Sez. 4, n. 12879 del 18/10/2000, Cerato, Rv. 218473); e che l’obbligo di calcolare le altrui condotte inappropriate deve giungere sino a prevedere che il veicolo che procede in senso contrario possa improvvisamente abbagliare, e che quindi occorre procedere alla strettissima destra in modo da essere in grado, se necessario, di fermarsi immediatamente (Sez. 4, n. 8359 del 19/6/1987, Chini, Rv. 176415).
- Come rileva, ancora, la richiamata e condivisibile sentenza 5691/2016 di questa Corte, si tratta, allora, di comprendere se l’atteggiamento rigorista abbia una giustificazione o debba essere invece temperato con l’introduzione, entro limiti ben definiti, del principio di affidamento.
Senza dubbio quello della circolazione stradale e’ un contesto meno definito di quello del lavoro in equipe (con riferimento alla colpa professionale dei medici), ove il principio in parola trova pacifica applicazione.
Si configura, infatti, un’impersonale, intensa interazione che mostra frequenti violazioni delle regole di prudenza.
D’altra parte, il Codice della Strada presenta norme che sembrano estendere al massimo l’obbligo di attenzione e prudenza, sino a comprendere il dovere di prospettarsi le altrui condotte irregolari.
Tra questi vanno ricordati: 1. l’articolo 141, che impone di regolare la velocita’ in relazione a tutte le condizioni rilevanti, in modo che sia evitato ogni pericolo per la sicurezza; e di mantenere condizioni di controllo del veicolo idonee a fronteggiare ogni “ostacolo prevedibile”; 2. l’articolo 145, che pone la regola della “massima prudenza” nell’impegnare un incrocio; 3. l’articolo 191, che prescrive la massima prudenza nei confronti dei pedoni, sia che si trovino sugli appositi attraversamenti, sia che abbiano comunque gia’ iniziato l’attraversamento della carreggiata. Tali norme – e’ stato condivisibilmente rilevato nel recente arresto giurisprudenziale di questa Corte di legittimita’ piu’ volte citato, alla cui articolata motivazione si rimanda – tratteggiano obblighi di vasta portata, che riguardano anche la gestione del rischio connesso alle altrui condotte imprudenti. D’altra parte, le condotte imprudenti nell’ambito della circolazione stradale sono tanto frequenti che esse costituiscono un rischio tipico, prevedibile, da governare nei limiti del possibile.
Costituisce, tuttavia, ius receptum di questa Corte, sin dalla giurisprudenza piu’ risalente nel tempo, il principio che nell’ambito della circolazione stradale che qui interessa, si debba tenere conto degli elementi di spazio e di tempo, e di valutare se l’agente abbia avuto qualche possibilita’ di evitare il sinistro: la prevedibilita’ ed evitabilita’ vanno cioe’ valutate in concreto (Sez. 4, n. 14188 del 18/9/1990, Petrassi, Rv. 185559; Sez. 4, n. 6173 del 9/5/1983, Togliardi, Rv. 159688; Sez. 5, n. 6783 del 2/2/1978, Piscopo, Rv. 139204).
Successivamente questa Corte ha ripetutamente chiarito (Sez. 4, n. 37606 del 6/7/2007, Rinaldi, Rv. 237050; Sez. 4, n. 12361 del 7/2/2008; Biondo, Rv. 239258) che l’esigenza della prevedibilita’ ed evitabilita’ in concreto dell’evento si pone in primo luogo e senza incertezze nella colpa generica, poiche’ in tale ambito la prevedibilita’ dell’evento ha un rilievo decisivo nella stessa individuazione della norma cautelare violata; ma anche nell’ambito della colpa specifica la prevedibilita’ vale non solo a definire in astratto la conformazione del rischio cautelato dalla norma, ma rileva pure in relazione al profilo squisitamente soggettivo, al rimprovero personale, imponendo un’indagine rapportata alle diverse classi di agenti modello ed a tutte le specifiche contingenze del caso concreto.
Certamente tale spazio valutativo e’ pressoche’ nullo nell’ambito delle norme rigide la cui inosservanza da luogo quasi automaticamente alla colpa; ma nell’ambito di norme elastiche che indicano un comportamento determinabile in base a circostanze contingenti, vi e’ spazio per il cauto apprezzamento in ordine alla concreta prevedibilita’ ed evitabilita’ dell’esito antigiuridico da parte dell’agente modello. Non puo’ essere escluso del tutto che contingenze particolari possano rendere la condotta inosservante non soggettivamente rimproverabile a causa, ad esempio, della imprevedibilita’ della condotta di guida dell’altro soggetto coinvolto nel sinistro. Tuttavia, tale ponderazione non puo’ essere meramente ipotetica, congetturale, ma deve di necessita’ fondarsi su emergenze concrete e risolutive, onde evitare che l’apprezzamento in ordine alla colpa sia tutto affidato all’imponderabile soggettivismo del giudice.
L’esigenza di una indagine concreta, si e’ pure affermato dalla giurisprudenza da ultimo indicata, non viene meno neppure quando, come nella circolazione stradale, la condotta inosservante di altri soggetti non costituisce in se’ una contingenza imprevedibile, si e’ chiarito che lo spazio per l’apprezzamento che giunga a ritenere imprevedibile la condotta di guida inosservante dell’altro conducente e’ ristretto e va percorso con particolare cautela. Cio’ nonostante, l’esigenza di preservare la gia’ evocata dimensione soggettiva della colpa (id est la concreta l’improverabilita’ della condotta) ha condotto questa Corte ad enunciare che, come si e’ prima esposto, le particolarita’ del caso concreto possono dar corpo ad una condotta realmente imprevedibile.
Alla prima ampia configurazione della responsabilita’ la giurisprudenza ha dunque costantemente apposto il limite della imprevedibilita’ (cfr. Sez. 4, n. 41029 del 24/9/2008, Moschiano, Rv. 241476 che ha ritenuto integrare il reato di lesioni colpose la condotta del conducente di un veicolo che investa un pedone in autostrada quando quest’ultimo gia’ si trovi sulla carreggiata nel momento in cui l’agente abbia percepito la sua presenza, atteso che in tale situazione appare prevedibile la pur imprudente intenzione dello stesso pedone di attraversare la carreggiata ed e’ dunque dovere del conducente porre comunque in atto le manovre necessarie ad evitare il suo investimento; in motivazione la Corte ha precisato che diversamente, qualora il pedone fosse stato fermo sulla piazzola di sosta, la particolare conformazione dell’autostrada quale sede destinata al traffico veloce avrebbe consentito legittimamente al conducente di escludere l’intenzione del pedone di attraversare la carreggiata, trattandosi di comportamento in tali condizioni non prevedibile), che talvolta si e’ richiesto essere assoluta (cosi’ Sez. 4, n. 26131 del 3/6/2008, Garzotto, Rv. 241004 che ha escluso la colpa generica del conducente dell’autovettura coinvolta in un sinistro stradale cui era seguita la morte della persona trasportata, poiche’ si e’ ritenuto che il conducente dell’altra autovettura aveva provocato imprevedibilmente l’incidente, ponendosi alla guida in stato d’etilismo acuto che non gli consentiva di controllare adeguatamente la marcia del proprio veicolo). In altra piu’ recente pronuncia, in senso maggiormente condivisibile, si e’ ritenuto che le imprudenze altrui fossero ragionevolmente prevedibili (cosi’ Sez. 4, n. 46818 del 25/6/2014, Nuzzolese, Rv. 261369 in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto circostanza prevedibile l’ingombro della carreggiata da parte di un altro veicolo in un incrocio cittadino).
- Va dunque, ad avviso del Collegio, riaffermato il principio che l’obbligo di moderare adeguatamente la velocita’ in relazione alle caratteristiche del veicolo e alle condizioni ambientali deve essere inteso nel senso che il conducente deve essere non solo sempre in grado di padroneggiare assolutamente il veicolo in ogni evenienza, ma deve anche prevedere le eventuali imprudenze altrui e tale obbligo trova il suo limite naturale unicamente nella ragionevole prevedibilita’ degli eventi, oltre il quale non e’ consentito parlare di colpa.
Se questi sono i principi giuridici di riferimento, va allora osservato come, nel caso che ci occupa, nella situazione di fatto, appaia adeguatamente supportato il giudizio di “ragionevole prevedibilita’” della condotta della vittima ed e’, proprio in riferimento al contesto in cui e’ avvenuto il fatto che si rileva una plausibilita’ della motivazione della sentenza impugnata.
Corretta appare l’affermazione operata dai giudici del gravame del merito secondo cui le norme che presiedono il comportamento del conducente del veicolo, oltre a quelle generiche di prudenza, cautela ed attenzione, sono principalmente quelle rinvenibili nell’articolo 140 C.d.S., che pone, quale principio generale informatore della circolazione, l’obbligo di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale, e negli articoli seguenti, laddove si sviluppano, puntualizzano e circoscrivono le specifiche regole di condotta.
Tra queste ultime, di rilievo, con riguardo al comportamento da tenere nei confronti dei pedoni, sono condivisibilmente quelle dettagliate nell’articolo 191 C.d.S., che trovano il loro pendant nel precedente articolo 190, che, a sua volta, dettaglia le regole comportarne tali cautelari e prudenziali che deve rispettare il pedone.
In questa prospettiva, correttamente il giudice leccese ha ritenuto che la regola prudenziale e cautelare fondamentale che deve presiedere al comportamento del conducente, vada sintetizzata nell'”obbligo di attenzione” che questi deve tenere al fine di “avvistare” il pedone si’ da potere porre in essere efficacemente gli opportuni (rectius i necessari) accorgimenti atti a prevenire il rischio di un investimento.
Il dovere di attenzione del conducente teso all’avvistamento del pedone come si legge nel provvedimento impugnato – trova il suo parametro di riferimento (oltre che nelle regole di comune e generale prudenza) nel richiamato principio generale di cautela che informa la circolazione stradale e si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali: 1. quello di prestare attenzione alla strada dove si procede o che si sta per impegnare; 2. quello di mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico; 3. quello, infine, di prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada ed in particolare per i pedoni (conferenti in tal senso appaiono i riferimenti agli arresti giurisprudenziali di questa Corte di cui a Sez. 4, 4/1/1991, Del Frate; Sez. 4, 12/10/2005, Leonini; Sez. 4, 13/10/2005, Tavoliere).
Si tratta, come visto nella giurisprudenza in precedenza ricordata, di obblighi comportamentali posti a carico del conducente anche per la prevenzione di eventuali comportamenti irregolari dello stesso pedone, vuoi genericamente imprudenti (tipico il caso del pedone che si attarda nell’attraversamento, quando il semaforo, divenuto verde, ormai consente la marcia degli automobilisti), vuoi violativi degli obblighi comportamentali specifici, dettati dall’articolo 190 C.d.S. (tipico, quello dell’attraversamento della carreggiata al di fuori degli appositi attraversamenti pedonali (come nel caso che ci occupa) o in quello altrettanto tipico, quello dell’attraversamento stradale passando anteriormente agli autobus, filoveicoli e tram in sosta alle fermate).
- I motivi dedotti, dunque, non paiono idonei a scalfire l’impianto motivazionale della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale affronta con argomentazioni esaustive e logicamente plausibili le questioni propostele, nemmeno per quanto riguarda l’affermata responsabilita’ di (OMISSIS) per il reato di cui all’articolo186 C.d.S., comma 6 (il c.d. reato di fuga).
La tesi difensiva, per tutto il processo, e’ stata che l’imputata non e’ fuggita, ma si e’ solo preoccupata di andare a chiamare il padre, soggetto che per la sua esperienza era in grado meglio di lei di fronteggiare la drammatica situazione in cui suo malgrado era venuta a trovarsi.
La tesi puo’ apparire verosimile, ma non esclude la tesi alternativa che in realta’ la giovane si fosse data alla fuga e sia stato poi il padre, consapevole dei rischi a cui andava incontro la figlia, a tentare di ridurre i danni portandosi dai carabinieri.
Peraltro, come ricordava il giudice di primo grado (cfr. pag. 18 della sentenza) ricordava essere: “…pacifico che l’imputata, dopo l’investimento dei due pedoni, non si fermo’ ma prosegui’ la sua marcia, per cui l’elemento materiale del reato di cui all’articolo 189 C.d.S., comma 6, risulta certamente integrato; ma lo stesso dicasi per l’elemento soggettivo, visto che la (OMISSIS) sapeva bene di aver investito dei pedoni, che certamente avevano riportato delle gravi conseguenze, visto che uno di essi era stato colpito frontalmente ed aveva quasi sfondato il parabrezza. Malgrado cio’, la (OMISSIS) ha proseguito la marcia preferendo continuare a guidare fino alla propria abitazione, pur con l’auto in pessime condizioni, piuttosto che fermarsi e prestare assistenza ai feriti o, quantomeno, chiamare i soccorsi, malgrado i ripetuti inviti di (OMISSIS) a fermarsi (“ho detto testualmente a (OMISSIS): ” (OMISSIS) fermati fermati – torna indietro vediamo cosa e’ successo””). Peraltro, dalle dichiarazioni dell’imputata si evince che lei e (OMISSIS) non si recarono immediatamente a casa della giovane ma temporeggiarono essendo evidentemente indecisi sul da farsi (“anche (OMISSIS) e’ entrato nel panico e quindi piu’ volte e’ sceso ed e’ risalito nella macchina, finche’ poi non ha deciso di venire con me a casa”). Sul comportamento della (OMISSIS) puo’ aver influito lo spavento conseguente al sinistro, ma cio’ non esclude il dolo della condotta, posto che l’opzione di fermarsi era quella piu’ ovvia, per il tipo di incidente, ma anche quella piu’ agevole, per i gravi danni al parabrezza che avrebbero re so ancor piu’ difficoltosa la guida di notte”.
Come ricordato da questa Corte di legittimita’ (vedasi tra le altre Sez.4, sentenza n.9128 del 2012), il codice della strada all’articolo 189 descrive in maniera dettagliata il comportamento che l’utente della strada deve tenere in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, stabilendo un “crescendo” di obblighi in relazione alla maggiore delicatezza delle situazioni che si possono presentare. Cosi’ e’ previsto, per quanto qui interessa, l’obbligo di fermarsi in ogni caso, cui si aggiunge, allorche’ vi siano persone ferite, quello di prestare loro assistenza. L’inottemperanza all’obbligo di fermarsi e’ punita con la sanzione amministrativa in caso di incidente con danno alle sole cose (comma 5) e con quella penale della reclusione fino a quattro mesi in caso di incidente con danno alle persone (comma 6). In tale seconda ipotesi, se il conducente si e’ dato alla fuga, la norma contempla la possibilita’ dell’arresto in flagranza nonche’ la sanzione accessoria della sospensione della patente; la sanzione penale e’ piu’ grave (reclusione fino ad un anno e multa) per chi non ottempera all’obbligo di prestare assistenza.
Si tratta di comportamenti diversi, lesivi di beni giuridici diversi ed attinenti, nel caso dell’inosservanza dell’obbligo di fermarsi, alla necessita’ di accertare le modalita’ dell’incidente e di identificare coloro che rimangono coinvolti in incidenti stradali e nel caso di omissione di soccorso, a principi di comune solidarieta’.
Quanto al reato di cui all’articolo 189, comma 6, trattasi di un reato omissivo di pericolo, il cui elemento materiale consiste, come si e’ gia’ osservato, nell’allontanarsi dell’agente dal luogo dell’investimento cosi’ da impedire o comunque, ostacolare l’accertamento della propria identita’ personale, l’individuazione del veicolo investitore e la ricostruzione delle modalita’ dell’incidente.
Questa Corte di legittimita’ ha gia’ avuto modo di precisare che integra il reato di cui all’articolo 189 C.d.S., comma 1 e 6 (cosiddetto reato di “fuga”), la condotta di colui che – in occasione di un incidente ricollegabile al suo comportamento da cui sia derivato un danno alle persone – effettui sul luogo del sinistro una sosta momentanea, senza consentire la propria identificazione, ne’ quella del veicolo. Infatti il dovere di fermarsi sul posto dell’incidente deve durare per tutto il tempo necessario all’espletamento delle prime indagini rivolte ai fini dell’identificazione del conducente stesso e del veicolo condotto, perche’, ove si ritenesse che la durata della prescritta fermata possa essere anche talmente breve da non consentire ne’ l’identificazione del conducente, ne’ quella del veicolo, ne’ lo svolgimento di un qualsiasi accertamento sulle modalita’ dell’incidente e sulle responsabilita’ nella causazione del medesimo, la norma stessa sarebbe priva di ratio e di una qualsiasi utilita’ pratica (cosi’ Sez. 4 n. 20235 del 25/1/2001 Rv. 234581).
Ai fini della configurabilita’ del reato di cui all’articolo 189 C.d.S., comma 6, che punisce l’utente della strada che, in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all’obbligo di fermarsi, il dolo richiesto deve investire, innanzitutto ed essenzialmente, l’omesso obbligo di fermarsi in relazione all’evento dell’incidente, ove questo sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, e va apprezzato come eventualmente sussistente avendo riguardo alle circostanze fattuali del caso laddove queste, ben percepite dall’agente, siano univocamente indicative di un incidente idoneo ad arrecare danno alle persone (cosi’ questa Sez. 4, n. 863 del 21/11/2007 dep. il 2008).
Va anche ricordato che, ai fini della configurabilita’ del reato de quo, il dolo richiesto per la punibilita’ puo’ essere integrato anche dal solo dolo eventuale, non essendo necessario il dolo intenzionale (sez. 4, n. 3568 del 10/12/2009 dep. il 2010), da apprezzarsi – per verificarne la sussistenza – avendo riguardo alle circostanze fattuali del caso, laddove queste, ben percepite dall’agente, siano univocamente indicative di un incidente idoneo ad arrecare danno alle persone.
Sulla scorta di tali premesse, ritiene la Corte che deve ritenersi corretta la valutazione operata dal primo giudice che, proprio facendo riferimento alla dinamica dell’incidente, come descritta senza incertezze evidenzia come non possa essere revocato in dubbio che la (OMISSIS) non solo si e’ resa conto di aver provocato un incidente con persone ferite anche gravemente ma si e’ volontariamente allontanata dal luogo del sinistro senza nemmeno rallentare quindi senza essersi minimamente accertata dello stato di salute delle persone coinvolte, la cui assistenza e’ stata sollecitata da persone diverse dall’odierna appellante e dal padre cui la stessa si era rivolta.
- Manifestamente infondato e’ anche il motivo sub d.
Sebbene vi sia un chiaro refuso a pag. 11 della motivazione della sentenza impugnata, che evidentemente ha indotto in errore il difensore – che pure, pero’, era il medesimo del primo grado – come si evince dalla sentenza di primo grado (vedasi pag. 18 della sentenza) – e come ricorda la stessa Corte leccese nell’intestazione della sentenza oggi impugnata – gia’ il GM del Tribunale di Lecce ha comunque concesso all’imputata le circostanze attenuanti generiche sul rilievo che “la stessa, dopo aver omesso di fermarsi, aveva comunque informato il padre dell’accaduto ed era rimasta a casa a disposizione dei Carabinieri che l’hanno sottoposta ad alcoltest; ugualmente corretto e’ stato il comportamento processuale, collaborativo e scevro da intenti dilatori”. Le concesse circostanze attenuanti generiche sono state poi valutate equivalenti all’aggravante di cui all’articolo 589 c.p., comma 2, ostando ad un giudizio di prevalenza la gravita’ della colpa ed e’ stata irrogata una pena. E quanto a quest’ultima valutazione va ricordato che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita’ qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la piu’ idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931; conf. Sez. 2 n. 31543 dell’8/6/2017; Pennelli, Rv. 270450)
- Infine, manifestamente infondato e’ anche il motivo sub e.
Detto che appare manifestamente infondata la doglianza che il difensore della ricorrente propone genericamente in premessa in ordine alla statuizione di ammissione della parte civile, va rilevato che motivatamente la Corte territoriale ha ritenuto che non vi fosse alcuna ragione per eliminare o ridurre la provvisionale e compensare totalmente o parzialmente le spese e competenze, stante la corretta applicazione da parte del primo giudice delle norme che disciplinano la materia a cominciare dalle tabelle del Tribunale di Milano e salva la possibilita’ per il giudice civile in sede di determinazione definitiva del quantum del danno da risarcire di meglio parametrare dette tabelle al caso concreto.
Peraltro, la doglianza proposta si palesa inammissibile atteso che secondo il costante orientamento di questa Corte di legittimita’ la determinazione della provvisionale, in sede penale, ha carattere meramente delibativo e puo’ farsi in base a giudizio presuntivo, derivandone che detta valutazione e’ rimessa alla discrezionalita’ del giudice di merito che non e’ tenuto a dare una motivazione specifica sul punto e conseguendone che il relativo provvedimento non e’ impugnabile per cassazione in quanto, per sua natura pronuncia provvisoria ed insuscettibile di passare in giudicato, destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento del danno (cosi’ Sez. Un. n. 2246 del 19/12/1990 dep. il 1991, Capelli, Rv. 186722; conf. Sez. 5, n. 40410 del 18/3/2004, Farina ed altri, Rv. 230105; Sez. 5, n. 5001 del 17/1/2007, Mearini ed altro, Rv. 236068; Sez. 4, n. 34791 del 23/6/2010, Mazzamurro, Rv. 248348; Sez. 5, n. 32899 del 25/5/2011, Mapelli e altri, Rv. 250934; Sez. 2, n. 49016 del 6/11/2014, Patricola ed altri, Rv. 261054; Sez. 3, n. 18663 del 27/1/2015, D.G., Rv. 263486; Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C. e G., Rv. 261536).
Il ricorrente, dunque, non puo’ dolersi ne’ del difetto di motivazione e nemmeno potrebbe di un’eventuale abnormita’, poiche’ dispone di ogni possibilita’ di difesa nella sede civile di liquidazione definitiva del danno.
Parimenti motivato e’ stato l’aver ritenuto che anche la (OMISSIS) avesse subito un danno risarcibile da entrambe le condotte delittuose commesse dell’imputata trattandosi di ente esponenziale “titolare di un interesse per la cui protezione e’ stata delegata dai suoi associati, indipendentemente dalla natura della posizione giuridica tutelata, la quale puo’ avere anche carattere di interesse diffuso” (conferente e’ il richiamo al precedente di questa Corte di legittimita’ costituito dalla sentenza n. 7597/2014)
- Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’articolo616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.
anno – Biologico – Capacita’ lavorativa generica – Riduzione – Inclusione
(Omissis). – Svolgimento del processo – Con atto notificato il 4/5 giugno 1979 Pagetti Cristina conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Milano la SGEA s.p.a. e la sua assicuratrice S.A.I. s.p.a., esponendo che il 1° marzo 1979, mentre era trasportata a bordo dell’autovettura di Meraldi Paolo, guidata da Meraldi Serafino, a seguito di uno scontro tra la stessa e un pullman della SGEA, aveva subito gravi lesioni, con postumi permanenti.
Le convenute, costituendosi, assumevano che il fatto si era verificato per colpa esclusiva del Meraldi Serafino e chiedevano la reiezione della domanda; chiedevano, previa chiamata in causa dei due Meraldi, la condanna di costoro e della loro compagnia di assicurazione al risarcimento dei danni.
Interveniva volontariamente in giudizio Meraldi Paolo, contestando la responsabilità del conducente della propria autovettura e chiedendo a sua volta, nei confronti delle predette convenute, il risarcimento dei danni da lui subiti.
L’adito Tribunale, riconosciuta la responsabilità della SGEA nella misura del 75% in conformità al giudicato penale formatosi sull’incidente, e tenuto conto delle somme già corrisposte dalla SAI alla Pagetti, condannava le convenute al pagamento, in favore della stessa Pagetti, della ulteriore somma di ú. 1.500.000, oltre gli lnteressi dal 26 marzo 1981, nonché gli interessi su L. 22.500.000 dal 1° marzo 1979 al 25 marzo 1981.
Avverso tale sentenza la Pagetti proponeva appello, in parziale accoglimento del quale la Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 22 settembre 1992, condannava le convenute al pagamento, in favore della Pagetti, della somma di ú. 2.213.157 oltre la rivalutazione dal 19.10.1989 e gli interessi legali del fatto, condannando poi la Pagetti a quattro quinti delle spese del grado.
Riteneva la Corte che fondatamente i primi giudici avevano escluso il danno per mancato guadagno della Pagetti nel mese in cui era stata ricoverata per rimozione dei mezzi di sintesi delle fratture, per difetto di prova; riteneva corretta la liquidazione dal danno biologico in base al parametro “a punto”; ribadiva la non risarcibilità dell’invalidità permanente in quanto non incidente sulla capacità lavorativa specifica della Pagetti, stante la di lei attività di Insegnante.
Riteneva, invece, fondato l’appello relativamente alla richiesta rivalutazione della somma liquidata per invalidità temporanea e per spese mediche, sulla base degli indici Istat.
Riteneva, infine, che le spese del grado, in ragione di quattro quinti, dovessero far carico alla Pagetti, considerato che il di lei appello era stato accolto solo in minima parte.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Pagetti, affidandone l’accoglimento a tre motivi, illustrati da successiva memoria.
Resiste con controricorso la S.A.I. s.p.a..
Non si sono costituiti la SGEA s.p.a., Meraldi Serafino e Paolo.
Motivi della decisione.
Con il primo motivo, denunciandosi violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 32 Cost., 2043, 2056, 1226, 1223 e 2727 c. c.) nonché vizi di motivazione, si deduce che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente negato alla ricorrente il danno patrimoniale per inabilità temporanea relativamente al mese necessario per la rimozione dei mezzi di sintesi, malgrado fosse stato provato che essa Pagetti svolgeva all’epoca del sinistro attività di Insegnante di scuola materna supplente, in relazione alla quale aveva, per il periodo di inabilità temporanea pregresso, subito una decurtazione della normale retribuzione. Il fatto che al momento della consulenza – che aveva comunque accertato la necessità di un ulteriore periodo di inabilità temporanea – non fosse individuabile il mese specifico in cui effettuare la rimozione dei mezzi di sintesi nulla toglieva alla sicura conclusione che essa per un ulteriore mese non avrebbe lavorato, perdendo quindi in parte il proprio abituale guadagno.
Nell’ambito dello stesso motivo, si censura inoltre la mancata liquidazione del danno biologico per inabilità temporanea, atteso che la Corte di merito, nel confermare la statuizione dei primi giudici – che pure avevano liquidato il danno biologico relativamente a tutte le voci – ritenendone la congruità sia in base al parametro “punto” effettivamente usato, sia al criterio del triplo della pensione sociale, aveva fatto esclusivo riferimento al danno biologico di natura permanente.
Entrambe le censure sono infondate.
Quanto alla prima, si osserva che la sentenza impugnata ha fatto carico alla Pagetti di non avere neppure precisato il mese in più di inabilità per il quale era stato chiesto Il risarcimento, né dato prova di una degenza effettivamente verificatasi, né infine dimostrato alcuna effettiva perdita di reddito.
In altri termini, il giudice di appello ha preliminarmente rilevato che la Pagetti non aveva neppure precisato in quale mese avesse dovuto subire la degenza per la rimozione dei mezzi di sintesi, e quindi prima di tutto se tale degenza si fosse verificata – almeno durante il giudizio di secondo grado – o meno.
Tale omissione, e quella di conseguenza attinente alla prova della circostanza in esame, correttamente è stata considerata ostacolo per poter collocare nel tempo la dedotta diminuzione patrimoniale e, quindi, ricondurla con sufficiente certezza alla percezione, da parte della Pagetti, di una retribuzione per l’attivita di insegnante di scuola materna in misura ridotta rispetto a quella abituale, e quindi procedere alla liquidazione del danno secondo i criteri adottati per i precedenti quattro mesi di invalidità temporanea.
Del resto – secondo la corretta impostazione del giudice del merito – se il ricovero della Pagetti fosse in realtà avvenuto in corso di giudizio, la liquidazione del danno ben poteva essere operata sulla base di elementi certi e non di una semplice prognosi, ancorché ancorata su basi concrete. Sicché, era onere della Pagetti precisare e dare eventualmente la prova che la degenza e la conseguente diminuzione patrimoniale si era effettivamente verificata, laddove se si fosse trattato di un evento ancora da verificarsi poteva venir meno la configurabilità di una perdita patrimoniale nei termini in cui essa era avvenuta per il passato.
Quanto alla seconda censura, si osserva che la sentenza impugnata ha, in definitiva, confermato la liquidazione del danno biologico operata dal Tribunale, e impugnata dalla Pagetti limitatamente ai postumi permanenti e con la sola richiesta di liquidazione della somma di lire 1.000.000, o altra ritenuta equa, per punto di invalidità.
Ora, premesso che la sentenza di primo grado ha liquidato la complessiva somma di lire 26.250.000 in essa inglobando anche il risarcimento del danno biologico di natura temporanea, è indubbio che la motivazione della sentenza di appello, nel constatare la congruità della liquidazione in base sia al parametro “a punto” che a quello riferito al triplo della pensione sociale, non può che riferirsi a quella unitariamente operata dai primi giudici per il danno biologico di natura sia permanente che temporanea.
Sarebbe stato onere della Pagetti censurare, con l’atto di appello, la correttezza della valutazione del danno biologico di natura temporanea sulla base del criterio del “punto” di invalidità. Non essendo stata formulata una tale censura, ed avendo anzi la Pagetti, nel richiedere al giudice di appello la determinazione in misura più elevata del “punto” di invalidità, implicitamente accettato il criterio adottato, rimane preclusa la censura successivamente svolta con il ricorso di legittimità laddove essa mira a conseguire una valutazione del danno biologico di natura temporanea sulla base di altro criterio. Né può dirsi che la Corte di merito abbia ricondotto l’intera liquidazione al danno biologico di natura permanente e in tal guisa accolto il motivo di appello della Pagetti, escludendo per contro la risarcibilità del danno di natura temporanea, desumendosi in modo chiaro dalla sentenza che è stata, invece, la liquidazione del Tribunale ad essere in toto confermata, sia pure nell’ottica del solo criterio del punto di liquidazione.
Con il secondo motivo la ricorrente si duole che la sentenza impugnata abbia contraddittoriamente confermato la liquidazione del danno biologico operata dai primi giudici usando un criterio elaborato dalla giurisprudenza solo per il danno biologico di natura permanente. La Corte di merito avrebbe, invero, liquidato sulla base di tale criterio sia il danno biologico di natura temporanea, che il danno alla capacità lavorativa generica.
Si duole altresì che sia stata esclusa la sussistenza di un danno (patrimoniale) alla capacità lavorativa di natura permanente senza tener conto dell’incidenza negativa dei postumi accertati – indebolimento permanente dell’organo della deambulazione – sullo svolgimento della sua attività lavorativa di insegnante di scuola materna.
Il motivo è infondato.
La prima censura trova risposta nelle considerazioni svolte nell’esame del primo motivo, dovendosi solo aggiungere che, per consolidato orientamento di questa Corte, la riduzione della capacità lavorativa generica quale potenziale attitudine del soggetto all’attività lavorativa, indipendentemente dalla produzione di un reddito, è risarcibile quale danno biologico (cfr. Cass. 3260/93; Cass. 13013/93, etc.).
La sentenza impugnata, invero, nel confermare il riconoscimento del danno alla salute fatto dai primi giudici, ha fatto proprie le considerazioni da essi svolte circa la riconducibilità al danno biologico delle riduzioni della capacità lavorativa generica di modesta entità, non comportanti una effettiva limitazione della capacità lavorativa e “lucrativa” della Pagetti, riconducendole ad una lesione del “diritto alla pienezza della vita fisica, unitamente alla corretta e completa esplicazione della personalità morale, intellettuale, culturale, nel grado di intensità raggiungibile da ciascun soggetto” – cfr. la motivazione della sentenza del Tribunale – e quindi all’ambito del danno biologico.
La seconda censura trova adeguata risposta proprio nella motivazione della sentenza di appello e in quella della sentenza di primo grado, da essa recepita, laddove si rileva come, secondo le risultanze della consulenza tecnica, i postumi permanenti riscontrati nella Pagetti non incidano sulla di lei capacità lavorativa specifica, attesa anche la natura dell’attività lavorativa svolta – quella di insegnante – che, se può comportare un maggiore e più intenso sforzo e disagio per ottenere i medesimi risultati di prima, non Influenza concretamente la capacità di guadagno dell’infortunata – né è stato provato in che si concreti l’eventuale minor reddito per la medesima -.
D’altra parte, neppure con l’atto di appello la Pagetti aveva allegato, sia pure in via presuntiva, la perdita di eventuali compensi aggiuntivi o speciali riconducibile alle menomazioni subite, ovvero un qualsiasi altro sviluppo in senso negativo della propria carriera di insegnante.
Né comunque si rinvenivano elementi, eventualmente non presi in considerazione dalla Corte milanese, in base ai quali potesse profilarsi un carattere particolarmente usurante della futura attività della Pagetti, da porre in rapporto di conseguenzialità con l’evento lesivo, che rendesse presumibile una cessazione anticipata del rapporto di lavoro, una minore progressione di carriera, e/o la prospettiva di un’attivltà alternativa in condizioni di minore redditività.
Con Il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 88 e 92 c. p.c. nonché vizi di motivazione, censura la decisione impugnata sotto un duplice profilo.
Deduce, invero, che la propria doglianza avverso la liquidazione delle spese del giudizio di primo grado sarebbe stata disattesa dalla Corte territoriale con l’apodittica motivazione che il valore della causa doveva essere determinato in base alla somma attribuita alla parte vincitrice e non a quella domandata, laddove la nota spese di essa deducente era stata redatta, con riferimento alle vigenti tariffe, in base al valore della causa compreso nello scaglione da ú. 10.000.000 (rectius 10.000.001) e ú. 50.000.000.
Deduce altresì che la condanna di essa Pagetti al pagamento delle spese del giudizio di secondo grado, in ragione di quattro quinti, non risponderebbe ad alcun principio di diritto, tenuto conto dell’accoglimento pur parziale propria impugnazione.
La prima censura è inammissibile.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, che non vi sono ragioni per disattendere, la parte che impugna in sede di legittimità la liquidazione del compensi difensivi non può limitarsi a dedurre il superamento della tariffa massima, o la mancata osservanza dei minimi di tariffa, ma ha l’onere di specificare le voci per le quali l’inosservanza si sia verificata, in guisa da consentire alla Corte il controllo di legittimità ad essa demandato (cfr. Cass. 433/89; Cass. 9763/94, etc.).
Deve, pertanto, considerarsi generica e quindi inammissibile la censura con la quale la ricorrente si limita a dedurre di avere per parte sua redatto la nota spese tenendo conto dello scaglione di tariffa concernente il valore della causa tra ú. 10.000.001 e ú. 50.000.000, senza specificare in relazione a quali voci la liquidazione non abbia osservato il limite minimo di tariffa.
La seconda censura è, invece, fondata.
La sentenza impugnata, la quale ha parzialmente accolto l’appello della Pagetti, elevando la misura del danno risarcibile fissata con la sentenza di primo grado da 1.500.000 a ú. 2.213.157, oltre la rivalutazione ulteriore sino alla data della decisione, ha poi condannato la stessa Pagetti alla rifusione di quattro quinti delle spese del giudizio di secondo grado, sul rilievo dell’accoglimento solo in minima parte dell’appello.
Siffatta decisione è in contrasto con il principio, più volte affermato da questa Corte, per cui, ai fini del regolamento delle spese giudiziali, deve considerarsi parte vittoriosa quella che ottenga il riconoscimento giudiziale di almeno una delle sue pretese, a nulla rilevando che l’istanza accolta rappresenti il minimo di quanto richiesto e, quindi, che la somma richiesta con la domanda giudiziale venga anche sensibilmente ridotta (cfr. Cass. 2124/94; Cass. 4148/81).
Peraltro, la soccombenza va determinata con riferimento alla causa nel suo insieme anche nel caso in cui questa abbia percorso più gradi di giudizio, dovendosi tener conto dell’esito finale e globale della lite e non di quello delle singole fasi di giudizio (cfr. Cass. 6723/88; Cass. 1905/87, etc.).
Ora la sentenza impugnata, nel motivare la ritenuta soccombenza della Pagetti, la ha ricollegata al solo esito del giudizio di appello, ma l’ha in ogni caso inesattamente configurata nel riconoscimento solo parziale di un’ulteriore pretesa risarcitoria rispetto a quanto già in suo favore statuito con la sentenza di primo grado.
Alla stregua di tali principi il giudice di appello avrebbe dovuto, ai fini dell’individuazione della parte soccombente, tener conto dell’esito finale e complessivo del giudizio e non solo di quello del giudizio di secondo grado e considerare in qual misura le domande della Pagetti fossero state accolte, sia in primo che in secondo grado.
La sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione alla censura come sopra accolta, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano per nuovo esame per il capo concernente le spese del giudizio di secondo grado alla stregua dei principi di diritto sopra enunciati in tema di individuazione della parte soccombente ai fini del regolamento delle spese giudiziali.
Il giudice di rinvio statuirà altresì sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta i primi due motivi del ricorso, accoglie per quanto di ragione il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.
Così deciso in Roma il 13 ottobre 1995 nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione.