Come quando perché Bologna come impugnare un testamento 2) come impugnare un testamento per lesione di legittima
come impugnare un testamento olografo 4)come impugnare un testamento pubblico
le tue volontà potranno essere espresse:
Testamento olografo
Il testamento olografo (articolo 609 c.c.) è il più semplice. Si tratta di una scrittura privata e deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto da chi lo fa.
- La mancanza di autografia lo renderebbe infatti nullo.
- La sottoscrizione, posta alla fine delle disposizioni, deve contenere nome e cognome del testatore, oppure uno pseudonimo che lo individui con certezza. La data deve contenere giorno, mese e anno in cui il testamento è scritto.
- Passando agli elementi essenziali del testamento olografo, come si accennava poco sopra, questi sono l’autografia, la data e la sottoscrizione.
- L’autografia è necessaria per stabilire la paternità del documento il quale deve, dunque, essere redatto per intero a mano e in corsivo dal testatore ossia senza l’ausilio di macchine o a stampatello.
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come impugnare un testamento olografo 4)come impugnare un testamento pubblico
Testamento pubblico[wpforms id=”21592″ title=”true” description=”true”]
Il testamento pubblico (articolo 603 c.c.) è uno dei due tipi di testamento redatti con l’atto del notaio (e le formalità previste per legge), e ha natura di atto pubblico.
- Chi fa testamento deve essere in presenza di due testimoni (o di quattro, se incapace di leggere o scrivere oppure se sordo, muto o sordomuto) e dichiarare la sua volontà al notaio. Il notaio la riceve, trascrive e legge al testatore in presenza dei testimoni. Queste formalità sono indicate nel testamento stesso, che deve essere sottoscritto dal testatore, dai testimoni e dal notaio. Anche in questo caso devono essere indicati il luogo, la data del ricevimento e l’ora della sottoscrizione.
- oppure, infine, in un testamento segreto che non è altro che il testamento firmato da te e poi consegnato in una scheda ad un notaio che la custodisce tra i suoi atti.
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. L’impugnazione del testamento
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Il testamento è l’atto con il quale il testatore dispone dei propri beni per il momento successivo alla propria morte.
Detto ciò, vediamo quali sono i vizi che legittimano l’impugnazione del testamento.
2 La nullità del testamento
- in un testamento cosiddetto olografo (la forma più frequente di testamento), cioè in uno scritto privato da te predisposto su un qualsiasi pezzo di carta e poi datato e firmato;
- oppure in un testamento pubblico, che è un atto pubblico scritto da un notaio (scelto da te) alla presenza di testimoni e che poi viene firmato da te, dal notaio e dai testimoni;
- oppure, infine, in un testamento segreto che non è altro che il testamento firmato da te e poi consegnato in una scheda ad un notaio che la custodisce tra i suoi atti.
L’impugnazione del testamento per nullità di forma si ha nei seguenti casi:
- mancanza dell’autografia o della sottoscrizione nel testamento olografo
- mancanza della redazione per iscritto delle dichiarazioni del testatore da parte del notaio, o mancanza di sottoscrizione da parte di questo o da parte dei testimoni o da parte del testatore, nel testamento pubblico
L’impugnazione del testamento per nullità sostanziali si ha nei seguenti casi:
- la contrarietà della disposizione a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume (si pensi, nell’ambito delle successioni, ai testamenti collettivi reciproci o congiunti, alla violazione del divieto dei patti successori, a disposizioni che siano rimesse, quanto alla determinazione del beneficiario e/o dell’oggetto al mero arbitrio di un terzo).
- la presenza di una condizione illecita o impossibile (anche se, di norma, la condizione si considera come non apposta, salvo che abbia costituito l’unico motivo determinante della disposizione testamentaria)
- il motivo illecito quando sia stato il solo che ha determinato il testatore a disporre, condizione che esso risulti dal testamento stesso (art. 626 cc)
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COME IMPUGNARE UN TESTAMENTO QUALI MEZZI
- del disconoscimento della scrittura ex art. 214 c.p.c. Secondo tale via, il testamento olografo rientra nella categoria delle scritture private, rendendo necessario e sufficiente che colui contro il quale venga prodotto il testamento non lo riconosca; sul piano dell’onere probatorio, incomberebbe sulla controparte interessata all’efficacia della scheda testamentaria dimostrare la sua provenienza dal defunto.
La seconda posizione della giurisprudenza, invece, fa capo alla querela di falso ex art. 221 c.p.c. Il testamento olografo, secondo tale filone, pur non rientrando espressamente nella categoria degli atti pubblici, è caratterizzato da una rilevanza sostanziale e processuale tale da richiedere per la contestazione della sua autenticità la proposizione di un’eccezione di falso ex art. 221 c.p.c., ricadendo l’onere della prova in capo a chi contesti la genuinità della scheda testamentaria. - Sotto un profilo sistematico deve anzitutto osservarsi che il mancato o tardivo disconoscimento della scrittura privata da luogo ad un riconoscimento tacito della stessa, cosicche’ non vi e’ dubbio che l’articolo 215 c.p.c. preveda un procedimento specifico onde attribuire alla scrittura privata prodotta l’efficacia probatoria stabilita dall’articolo 2702 c.c. circa la provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, “fino a querela di falso”.
- La querela di falso, invece, si pone su di un piano diverso, in quanto presuppone proprio l’esistenza di un documento avente l’efficacia probatoria designata dal legislatore come “prova piena” (Cass. 16-8-1990 n. 8318), ed ha per oggetto la prova che la dichiarazione che appare proveniente dalla parte che l’ha sottoscritta, considerata separatamente dalla firma riconosciuta, non e’ stata in realta’ effettuata; la querela di falso quindi tende a rimuovere la fede privilegiata che caratterizza la scrittura privata con sottoscrizione riconosciuta ai sensi dell’articolo 2702 c.c..
- Dunque resta incontestabile che, per escludere l’autenticita’ della scrittura privata che si assume contraffatta, pur se riconosciuta o legalmente considerata tale, l’unico mezzo possibile e’ costituito dalla querela di falso; infatti l’oggetto della querela riguarda l’efficacia di prova legale attribuita dall’articolo 2702 c.c., alla scrittura privata riconosciuta.
- I rilievi finora svolti inducono quindi a sottolineare il diverso ambito e la diverse finalita’ che caratterizzano la querela di falso ed il disconoscimento della scrittura privata, in quanto la prima postula l’esistenza di una scrittura privata riconosciuta, della quale si intende eliminare l’efficacia probatoria attribuitale dall’articolo 2702 c.c., mentre l’altro, investendo la stessa provenienza del documento, mira ad impedire che la scrittura privata acquisti detta efficacia, e si risolve in una impugnazione vincolata da forme particolari, volta a negare l‘autenticita’ del documento che si assume contraffatto (Cass. 24-1-2007 n. 1572); in linea piu’ generale, poi, e’ evidente che lo strumento della querela di falso e’ rivolto al conseguimento di un risultato piu’ ampio e definitivo, ovvero quello della contestazione della genuinita’ del documento e quindi della completa rimozione del suo valore probatorio con effetti “erga omnes” e non nei soli riguardi della controparte
colui contro il quale la scheda testamentaria è prodotta e che intende contestarne l’autenticità deve disconoscere tale scrittura, mentre il soggetto che vuole far valere l’efficacia del testamento deve proporre l’istanza di verificazione.
Per differente impostazione, l’unico strumento per censurare la genuinità del testamento olografo è la proposizione di una querela di falso ai sensi degli artt. 221 e ss. cpc.
Il disconoscimento di una scrittura privata può provenire soltanto dal suo autore, per cui ad esso non si può ricorrere quando sussiste un’alterità soggettiva tra chi ha redatto il documento e chi intende metterne in discussione l’autenticità ( Cass. nn. 16362/03, 8272/ 2012).
Il termine di prescrizione di cinque anni, che l’art 606, secondo comma, cod. civ. stabilisce per impugnare il testamento olografo per difetti di forma diversi dalla mancanza di autografia o di sottoscrizione, decorre dal giorno in cui è stata data, anche da uno soltanto dei chiamati all’eredità, esecuzione alle disposizioni testamentarie, senza che sia necessario che siano eseguite tutte le disposizioni del testatore, poiché altrimenti la situazione giuridica inerente allo “status” dei chiamati all’eredità e alla qualità stessa di eredi rimarrebbe indefinitamente incerta, il che la legge ha inteso evitare assoggettando l’azione di annullamento, su istanza di chiunque vi abbia interesse, al breve termine quinquennale dall’esecuzione anche parziale dell’atto di ultima volontà.
A sua volta, va osservato – che in materia di testamento olografo la falsita’, l’erronea o l’incompleta indicazione della data non e’ essa stessa determinante ai fini dell’invalidita’ del testamento, considerato, come pure afferma la dottrina civilistica, che la funzione della data nel testamento olografo e’ quella di risolvere in via presuntiva le questioni che dipendono dal tempo di compimento dell’atto, cioe’ stabilire se il testatore era capace nel giorno in cui il testamento e’ stato redatto e, nel caso di piu’ testamenti successivi, quale sia l’ultimo. Pertanto, l’annullabilita’ del testamento ai sensi dell’articolo 606 c.c., comma 2, per falsita’, erronea o incompleta indicazione della data puo’ essere chiesta da chi ha interesse a far accertare che al tempo della redazione del testamento il testatore fosse incapace, oppure per fare accertare l’efficacia di altro testamento ritendendolo posteriore a quello senza data o con data falsa. Eppero’, nel caso in esame, considerato che la capacita’ del de cuius non sia stata messa in discussione avuto riguardo a tutto l’arco della vita dello stesso, ne’ sembra che esistano piu’ testamenti dello stesso de cuius, rimane ininfluente la non appartenenza al testatore della data riscontrata sul foglio che riporta il testamento di cui si dice.
L’interesse ad impugnare il testamento, seppure più esteso rispetto alla ordinaria azione di nullità, tuttavia deve essere diretto ed attuale, e non eventuale e futuro, di guisa che la posizione giuridica soggettiva di chi agisce sia suscettibile di ricevere un concreto ed effettivo pregiudizio dal permanere dell’atto nel mondo del diritto e, per converso, un concreto ed effettivo vantaggio dalla sua caducazione, in applicazione di un principio non dissimile da quello enunciato con riferimento all’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. Tale interese ad agire si risolve nella concreta utilità del provvedimento richiesto al giudice rispetto alla situazione antigiuridica denunciata (utilità che deve sussistere non solo al momento della proposizione dell’atto introduttivo del giudizio ma anche al momento della decisione del giudice).
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DIVISIONE EREDITARIA
Ai sensi dell”articolo 458 c.c., comma 1, seconda parte, sono patti successori le convenzioni che abbiano per oggetto la costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta e facciano, cosi”, sorgere un vinculum iuris, di cui la disposizione ereditaria rappresenti l”adempimento (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24450 del 19/11/2009; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 63 del 06/01/1981). Per stabilire, quindi, se una determinata pattuizione ricada sotto la comminatoria di nullita” di cui all”articolo 458 c.c., occorre accertare: 1) se il vincolo giuridico con essa creato abbia avuto la specifica finalita” di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entita” comprese nella futura successione; 3) se i disponenti abbiano contrattato o stipulato come aventi diritto alla successione stessa; 4) se l”assetto negoziale convenuto debba aver luogo “mortis causa” (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1683 del 16/02/1995; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2619 del 09/07/1976).
Nella controversia relativa all’accertamento della proprietà di un immobile rientrante in comunione ereditaria, i coeredi assumono la posizione processuale di litisconsorti necessari, ai sensi dell’art. 102 cod. proc. civ., con la conseguenza che, ancorché uno di essi non abbia proposto impugnazione avverso la sentenza di primo grado, è sufficiente la proposizione dell’appello contro la stessa da parte di un altro dei litisconsorti per impedirne il passaggio in giudicato anche nei confronti di quello e per consentirgli, ove la successiva sentenza di secondo grado sia a lui sfavorevole, di proporre ritualmente ricorso per cassazione.
Comunione ereditaria – Usucapione della quota degli altri coeredi
Il coerede puo`, prima della divisione, usucapire la quota degli altri coeredi, senza che sia necessaria una vera e propria interversione del titolo del possesso, mediante comportamento oppositivo, esercitando il potere di fatto sul bene in termini di esclusivita`. A tal fine, peraltro, non e` sufficiente che gli altri coeredi si siano astenuti dall’uso del bene in comune, occorrendo che quello fra i coeredi, il quale invochi l’usucapione, abbia goduto del bene stesso in modo inconciliabile con la possibilita` di godimento altrui tale da evidenziare una inequivoca volonta` di possedere “uti dominus” e non piu` “uti condominus” senza opposizione per il tempo utile ad usucapire.
Divisione – Divisione ereditaria – Operazioni divisionali – Pagamento dei debiti ereditari – Ripartizione tra gli eredi – Crediti del “de cuius” – Frazionamento “pro quota” fra coeredi – Configurabilità – Esclusione – Comunione ereditaria – Configurabilità – Sussistenza – Fondamento – Conseguenze – Giudizio di accertamento del credito ereditario – Litisconsorzio necessario tra gli eredi – Configurabilità – Esclusione.
I crediti del “de cuius”, a differenza dei debiti, non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, essendo la regola della ripartizione automatica dell’art. 752 cod. civ. prevista solo per i debiti, mentre la diversa disciplina per i crediti risulta dal precedente art. 727, il quale, stabilendo che le porzioni debbano essere formate comprendendo anche i crediti, presuppone che gli stessi facciano parte della comunione, nonché dal successivo art. 757, il quale, prevedendo che il coerede al quale siano stati assegnati tutti o l’unico credito succede nel credito al momento dell’apertura della successione, rivela che i crediti ricadono nella comunione, ed è, inoltre, confermata dall’art. 760, che escludendo la garanzia per insolvenza del debitore di un credito assegnato a un coerede, necessariamente presuppone che i crediti siano inclusi nella comunione; né, in contrario, può argomentarsi dagli artt. 1295 e 1314 dello stesso codice, concernendo il primo la diversa ipotesi del credito solidale tra il “de cuius” ed altri soggetti e il secondo la divisibilità del credito in generale. Conseguentemente, ciascuno dei partecipanti alla comunione ereditaria può agire singolarmente per far valere l’intero credito comune, o la sola parte proporzionale alla quota ereditaria, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi, ferma la possibilità che il convenuto debitore chieda l’intervento di questi ultimi in presenza dell’interesse all’accertamento nei confronti di tutti della sussistenza o meno del credito.