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La prova si ricava, comunque, anche dal certificato anagrafico in atti che attesta lo stato di famiglia, nel periodo in cui si è realizzata la morte del …. Val la pena di precisare che, comunque
CONVIVENTI FINE CONVIVENZA BOLOGNA /IMMOBILE DI ENTRAMBI
Secondo la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 20062 del 14 luglio 2021 partendo da una presunzione di legge, ha sostenuto che le quote dovessero ritenersi paritarie ed eguali tra tutti gli acquirenti laddove il titolo e cioè l’atto di acquisto non avesse diversamente specificato una differente ripartizione.
Ciò nonostante, evidenziavano i giudici di legittimità, il motivo del ricorso dovesse essere accolto in quanto la Corte d’Appello di Milano aveva errato nel ritenere presuntivamente provato l’animus donandi ossia l’intento liberale di un convivente a favore dell’altro.
La Suprema Corte ha rilevato come la Corte d’appello non avesse considerato che l’animus donandi debba essere provato e la prova può essere data anche per presunzioni, ma deve trattarsi di presunzioni “serie”, in base ad un rigoroso esame di tutte le circostanze del singolo caso, non potendo ritenersi di per sé la convivenza circostanza giustificatrice di un atto di liberalità.
Pertanto, la Cassazione ha cassato la sentenza e rinviato ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che provvederà a un nuovo esame attenendosi a quanto enunciato dalla Suprema Corte.
La prova poteva essere fornita con presunzioni queste avrebbero dovuto rivestire il carattere della serietà, non potendosi presumere meramente che dalla convivenza potesse discenderne sempre e comunque uno spirito di liberalità. In presenza di tale “sbrigativo approccio” ha sostenuto la Corte di Cassazione, i giudici milanesi hanno finito per ritenere del tutto superflua e non necessaria la verifica e quindi la prova degli ulteriori fatti che avrebbero giustificato il maggior apporto e quindi una differente ripartizione delle quote interne.
“la Corte d’appello, però, non ha considerato che l’animus donandi deve essere provato. Si può ammettere che la prova possa essere data per presunzioni, ma deve trattarsi di presunzioni “serie”, in base a un rigoroso esame di tutte le circostanze del singolo caso (Cass. n. 9379/2020). In contrasto con tale necessità, la corte milanese ha ritenuto la convivenza, per sé stessa, quale elemento idoneo a giustificare il maggiore apporto per spirito di liberalità. In conseguenza di tale sbrigativo approccio ha finito per ritenere a priori superflua la verifica dei fatti dedotti, e cioè del maggiore apporto al momento dell’acquisto e persino del pagamento delle rate di mutuo”
La presunzione che viene in considerazione è quella posta dall’art. 1101 c.c. A sua volta tale presunzione, di parità delle quote dei partecipanti alla comunione, opera solo in difetto di indicazione del titolo. Nella sentenza impugnata ai assume che l’acquisto dell’immobile, oggetto di divisione, era avvenuto per quota indivise e paritarie. In forza di tale espressa previsione del titolo, il cui richiamo da parte della corte d’appello non ha costituito oggetto di censura, la comunione è a parti uguali, qualunque sia stata la misura del rispettivo esborso. In presenza di un una simile precisazione del titolo, quand’anche dal negozio risultasse dal negozio che uno dei partecipanti ha sborsato una somma maggiore, chi ha pagato di più avrebbe soltanto un diritto di credito verso gli altri. Il secondo motivo, proposto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., propone due diverse censure. Con la prima si sostiene che la Corte d’appello non ha considerato che la liberalità, qualora sussistente, richiedeva la forma scritta
ORDINANZA sul ricorso 27229-2016 proposto da: CIABOCO GIANCARLO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DARDANELLI N. 13, presso lo studio dell’avvocato CAROLINA CAPALDO, rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE RISPOLI; – ricorrente – contro RUGGIA ROSALIA; – intimata – avverso la sentenza n. 2779/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 30/06/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/01/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO. FATTI DI CAUSA Nella presente causa si discute della divisione di un immobile comune fra gli ex conviventi Ciaboco Giancarlo e Ruggia Rosalia, attribuito dal giudice di primo grado al Ciaboco, dietro pagamento del conguaglio, Civile Ord. Sez. 2 Num. 20062 Anno 2021 Presidente: GORJAN SERGIO Relatore: TEDESCO GIUSEPPE Data pubblicazione: 14/07/2021 Corte di Cassazione – copia non ufficiale determinato tenuto conto del mutuo gravante su ambedue i comproprietari. La Corte d’appello di Milano, adita dalla Ruggia, ha modificato il valore del bene e la misura del conguaglio, adottando un diverso criterio di conteggio del mutuo residuo. La corte di merito ha rigettato il motivo di appello incidentale, con il quale il Ciaboco pretendeva che, nella determinazione delle quote, si tenesse conto del diverso e maggiore apporto da lui fornito per l’acquisto. La corte d’appello ha così argomentato: «Invero l’acquisto è avvenuto per quota indivise (e paritarie: cfr. sentenza impugnata) nel corso della lunga convivenza tra le parti […]; pertanto, in assenza di elementi contrari (dichiarazione delle parti nell’atto di acquisto al momento della stipula, del pagamento delle rate, etc.) si deve presumere che, quand’anche si ritenesse che gli oneri dell’acquisto (anticipi e rate di mutuo, quantomeno sino al termine della convivenza) siano stati sostenuti in modo maggiore da uno degli acquirenti, per la parte “eccedente” la sua quota siano stati compiuti a titolo di liberalità nei confronti della co-acquirente, intento liberale che trova giustificazione nella stessa situazione di convivenza (in tal caso, more uxorio, della Ruggia)». Per la cassazione della sentenza Ciaboco Giancarlo ha proposto ricorso affidato a due motivi. Ruggia Rosalia è rimasta intimata. RAGIONI DELLA DECISIONE Con il primo motivo, proposto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si sostiene che era stata acquisita la prova del maggiore esborso sostenuto dal ricorrente per l’acquisto, idonea a superare la Ric. 2016 n. 27229 sez. 52 – ud. 11-01-2021 -2- Corte di Cassazione – copia non ufficiale presunzione di parità delle quote stabilita dall’art. 1298 c.c. in tema di solidarietà passiva. Il motivo è infondato. In primo luogo, si deve rilevare l’improprietà del riferimento normativo all’art. 1298 c.c. La presunzione che viene in considerazione è quella posta dall’art. 1101 c.c. A sua volta tale presunzione, di parità delle quote dei partecipanti alla comunione, opera solo in difetto di indicazione del titolo. Nella sentenza impugnata ai assume che l’acquisto dell’immobile, oggetto di divisione, era avvenuto per quota indivise e paritarie. In forza di tale espressa previsione del titolo, il cui richiamo da parte della corte d’appello non ha costituito oggetto di censura, la comunione è a parti uguali, qualunque sia stata la misura del rispettivo esborso. In presenza di un una simile precisazione del titolo, quand’anche dal negozio risultasse dal negozio che uno dei partecipanti ha sborsato una somma maggiore, chi ha pagato di più avrebbe soltanto un diritto di credito verso gli altri. Il secondo motivo, proposto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., propone due diverse censure. Con la prima si sostiene che la Corte d’appello non ha considerato che la liberalità, qualora sussistente, richiedeva la forma scritta. La censura è infondata. Lo stesso ricorrente riconosce che il denaro utilizzato per l’acquisto e quanto occorrente per il pagamento delle rate di mutuo non fu dato al coniuge, ma al creditore: quindi la fattispecie in ipotesi riscontrabile sarebbe quella dell’adempimento del terzo fatto per spirito di liberalità. Si avrebbe quindi, secondo la stessa prospettazione di parte, una donazione indiretta posta in essere con un negozio per il quale non si richiede la forma scritta (Cass. n. 14197/2013; n. 5333/2004). Ric. 2016 n. 27229 sez. 52 – ud. 11-01-2021 -3- Corte di Cassazione – copia non ufficiale Con la seconda censura si rimprovera alla Corte d’appello di avere erroneamente ravvisato, nel maggiore apporto fornito dall’attuale ricorrente all’acquisto dell’immobile, l’adempimento di una obbligazione naturale. La censura è fondata anche se per una ragione non perfettamente coincidente con quella indicata nel ricorso. La corte d’appello non ha ravvisato l’esistenza di una obbligazione naturale (cfr. Cass. n. 14732/2018), ma ha negato il rimborso, supponendo che il maggiore apporto all’acquisto fosse stato fatto «a titolo di liberalità» di un convivente in favore dell’altro. La Corte d’appello, però, non ha considerato che l’animus donandi deve essere provato. Si può ammettere che la prova possa essere data per presunzioni, ma deve trattarsi di presunzioni “serie”, in base a un rigoroso esame di tutte le circostanze del singolo caso (Cass. n. 9379/2020). In contrasto con tale necessità, la corte milanese ha ritenuto la convivenza, per sé stessa, quale elemento idoneo a giustificare il maggiore apporto per spirito di liberalità. In conseguenza di tale sbrigativo approccio ha finito per ritenere a priori superflua la verifica dei fatti dedotti, e cioè del maggiore apporto al momento dell’acquisto e persino del pagamento delle rate di mutuo. E tornano qui appropriati la pluralità dei riferimenti, operati nel ricorso, ai principi in tema di solidarietà passiva. Infatti, l’obbligazione solidale, se non risulta diversamente, si divide nei rapporti interni fra condebitori in parti eguali; pertanto, il coobbligato che abbia pagato l’intero, è titolare, salvo prova contraria a carico dell’altro condebitore, del diritto di ripetere da quest’ultimo la meta di quanto pagato al comune creditore (Cass. n. 188/1966). Conclusivamente, è infondato il primo motivo, è fondato, nei limiti di cui sopra, il secondo motivo. -4- Ric. 2016 n. 27229 sez. 52 – ud. 11-01-2021 Corte di Cassazione – copia non ufficiale La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che provvederà a nuovo esame attenendosi a quanto sopra. La corte di rinvio liquiderà le spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. rigetta il primo motivo; accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il secondo motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Milano anche per le spese. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione
, avendo la convivenza una natura
“fattuale”,
e, cioè, traducendosi in una formazione sociale non esternata dai partners a mezzo di un vincolo civile formale, la dichiarazione anagrafica è strumento privilegiato di prova e non anche elemento costitutivo e ciò si ricava, oggi, dall’art. 1 comma 36 della Legge 76 del 2016, in materia di “regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”.
La definizione normativa che il Legislatore ha introdotto per i conviventi è scevra da ogni riferimento ad adempimenti formali: “si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”. In altri termini, il convivere è un “fatto” giuridicamente rilevante da cui discendono effetti giuridici ora oggetto di regolamentazione normativa. Tant’è che la dichiarazione anagrafica è richiesta dalla legge 76 del 2016 «per l’accertamento della stabile convivenza», quanto a dire per la verifica di uno dei requisiti costitutivi ma non anche per appurarne l’effettiva esistenza fattuale. Ai fini dell’odierno procedimento, pertanto, è provato che, al momento del decesso, la …, il … e i loro figli, costituivano una famiglia non fondata sul matrimonio.
Tribunale di Milano
Sezione IX Civile
Ordinanza 31 maggio 2016
(est. G. Buffone)
IN FATTO
….., nata a …. il …., e …., nato a … in data …, instauravano una relazione affettiva, nell’ambito della quale nascevano … nata il … …, e di …, nato il …. I minori nascevano fuori da matrimonio.
In pendenza di rapporto affettivo, i conviventi avevano provveduto a rendere apposita dichiarazione anagrafica, al Comune di residenza (Comune di …; v. certificato in atti). In data ….novembre 2015, … decedeva nel Comune di … (..). Successivamente, in data .. dicembre 2015, la … veniva a conoscenza del proprio stato di gravidanza (certificato del … dicembre 2015); nelle more, come da disposizioni di ultima volontà, il corpo di .. .. veniva cremato. La …
apprendeva, da parte della ASL di … (luogo in cui il convivente era stato ricoverato, prima del decesso), della presenza di materiale biologico conservato presso la cennata azienda ospedaliera, idoneo per quantità e qualità a rendere possibile un accertamento del D.N.A. Richiedeva, pertanto, al Tribunale di Milano (luogo di residenza della famiglia), in via di urgenza, con ricorso depositato in data 20 maggio 2016 (trasmesso a questa sezione il 26 maggio 2016), procedersi alla nomina di consulente tecnico d’ufficio per gli opportuni accertamenti emato-genetici al fine di preservare la prova per il futuro giudizio in cui accertare, la paternità di … rispetto al neonato partorito da …. Specificava che la domanda era urgente: i campioni di sangue prelevati sul corpo dell’ex convivente, anche se crio-conservati, erano suscettibili di progressivo deterioramento ma, soprattutto, era possibile che il trascorrere del tempo ne rendesse inficiata l’utilizzabilità ai fini dell’accertamento del D.N.A.
IN DIRITTO
[1]. Convivenza di fatto.
Va premesso che l’esistenza di una convivenza di fatto tra la … e il .. deve ritenersi in questa sede provata. Il fatto stesso che i conviventi abbiano avuto due figli è sintomo di un habitat familiare formatosi al di fuori di un vincolo matrimoniale. La prova si ricava, comunque, anche dal certificato anagrafico in atti che attesta lo stato di famiglia, nel periodo in cui si è realizzata la morte del …. Val la pena di precisare che, comunque, avendo la convivenza una natura
“fattuale”, e, cioè, traducendosi in una formazione sociale non esternata dai partners a mezzo di un vincolo civile formale, la dichiarazione anagrafica è strumento privilegiato di prova e non anche elemento costitutivo e ciò si ricava, oggi, dall’art. 1 comma 36 della Legge 76 del 2016, in materia di “regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”. La definizione normativa che il Legislatore ha introdotto per i conviventi è scevra da ogni riferimento ad adempimenti formali: “si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”. In altri termini, il convivere è un “fatto” giuridicamente rilevante da cui discendono effetti giuridici ora oggetto di regolamentazione normativa. Tant’è che la dichiarazione anagrafica è richiesta dalla legge 76 del 2016 «per l’accertamento della stabile convivenza», quanto a dire per la verifica di uno dei requisiti costitutivi ma non anche per appurarne l’effettiva esistenza fattuale. Ai fini dell’odierno procedimento, pertanto, è provato che, al momento del decesso, la …, il … e i loro figli, costituivano una famiglia non fondata sul matrimonio.
[2]. Condizione del nascituro
… era già padre di due figli, avuti con la ricorrente; al momento del decesso, sussisteva coabitazione tra i due conviventi. La morte è avvenuta allorché il nucleo familiare era unito, in periodo di soggiorno nella Regione ….. Il decesso è avvenuto il… novembre 2015. In data…
dicembre 2015, la ginecologa dr.ssa … ha attestato uno stato di gravidanza della .. di sette settimane. Il concepimento, dunque, è certamente anteriore al decesso del … Entro queste coordinate, deve ritenersi effettivamente molto probabile (in termini di quasi – certezza) che …
fosse il padre del concepito. La .. ha riferito espressamente l’intenzione di agire, dopo la nascita del concepito, per accertare giudizialmente la paternità del … Come noto, l’accertamento giudiziale della paternità è, oggi, possibile anche a seguito del decesso del presunto padre biologico, giusta la previsione di cui all’art. 276 c.p.c. Il nascituro, pertanto, nel caso di specie, successivamente all’evento della nascita sarebbe legittimato attivo per l’esercizio dell’azione ex art. 269 c.p.c., già a mezzo della rappresentanza della madre, ex art. 273 comma I c.c. Si tratta, però, di un interesse oggi non rappresentato da un soggetto attuale poiché il concepito è l’essere umano nella fase primordiale dello sviluppo biologico e, dunque, non è ancora persona fisica. In tempi recenti, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno, invero, affermato che, tenuto conto del naturale relativismo dei concetti giuridici, alla tutela del nascituro si può pervenire, in conformità con un indirizzo dottrinario, senza postularne la soggettività – che è una tecnica di imputazione di diritti ed obblighi – bensì considerandolo oggetto di tutela (Cass. Civ., Sez. Un., 22 dicembre 2015 n. 25767; orientamento seguito anche da: Corte Cost. 18 febbraio 1975 n. 27;
Cass., sez. 3, maggio 2011 n. 9700; Cass. 9 maggio 2000, n. 5881). In altri termini, «si può essere destinatari di tutela anche senza essere soggetti dotati di capacità giuridica ai sensi dell’art. 1 c.c.». Nel caso di specie, devono ritenersi sussistenti i presupposti per riconoscere tutela al concepito: differire la protezione a un momento successivo alla nascita rischierebbe, infatti, di pregiudicare l’esito del giudizio di paternità. Risulta pienamente provato, infatti, che …, dopo la morte, è stato cremato e, pertanto, non sarebbe possibile procedere alla esumazione della salma (art. 83, d.P.R. 285 del 1990; v. Cass. civ., 12549 del 2012), durante il giudizio ex art. 269 c.c., per gli accertamenti in ordine alla paternità biologica. E’ al contempo provato (v. certificato dell’Azienda .. di …, del 29 aprile 2016) che presso l’azienda sanitaria della .. .. sono custodite due provette di sangue che, in previsione di possibili indagini di carattere genetico, “sono state congelate nelle immediatezze del prelievo”. L’Azienda ha comunicato che i reperti sono idonei all’esecuzione di indagini di tipo genetico ma è necessario agire “con sollecitudine onde evitare di incorrere in alterazioni che possano renderli non più fruibili” (v. certificato, a firma della dr.ssa …). L’urgenza non viene meno ove si ammetta che il giudizio di paternità può essere condotto anche a mezzo di prove diverse o beneficiando delle presunzioni: si tratta, infatti, di paragonare una prova certa e principe (l’esame ematologico) a una dimostrazione probatoria indiretta e condizionata dalle variabili del processo (si pensi a una prova testimoniale inammissibile ex art. 244 c.p.c.). Il quadro di elementi in fatto sin qui illustrato mette in risalto la sicura necessità che la risposta giudiziale sia celere, senza alcun ritardo. L’anticipazione della tutela è giustificata dalla sussistenza di un rilevante diritto costituzionale quale è quello relativo alla conservazione dei legami familiari e alla identità personale. La tutela del concepito, nel caso di specie, non incide, in misura negativa su contrastanti situazioni giuridiche soggettive: infatti, per effetto dell’accesso al materiale biologico del defunto …, si concretizza esclusivamente la raccolta, in via preventiva, di una prova indispensabile, fermo restando, nel merito, l’accertamento eventuale e futuro del legame biologico, sub specie di dichiarazione giudiziale di paternità. Può, però, allo stato ritenersi che, ove vivo al momento della nascita del figlio oggi nascituro, certamente il .. lo avrebbe riconosciuto, tenuto conto di due figli già riconosciuti come suoi (ed avuti con la ricorrente) e della vitalità e attualità del legame familiare di fatto. Peraltro, nell’attuale contesto ordinamentale, la «tutela della vita nascente» è sempre più avvertita come comune valore civile, pure riconosciuto dal Legislatore (v. art. 1, comma I, l. 40 del 2004) nel bilanciamento con altri valori parimenti protetti (v. CEDU, 26 maggio 2011, in materia di interruzione della gravidanza); va dunque favorita una interpretazione tesa ad estendere, piuttosto che ridurre, gli ambiti di protezione del nascituro, come oggetto di tutela. In virtù dei rilievi sin qui svolti, deve ritenersi ammissibile l’azione cautelare che, come nel caso di specie, sia promossa dalla madre del nascituro, concepito fuori dal matrimonio, dopo la morte del padre per accedere a materiale biologico del medesimo al fine di conservare elementi di prova da spendere nel futuro giudizio di paternità, da instaurare ex art. 269 c.c.; l’azione può in particolare essere promossa dove, come nel caso di specie, il corpo del presunto padre non possa essere oggetto di esumazione, attesa la intervenuta cremazione.
[3]. Procedimento cautelare
Tenuto conto della strumentalità dell’odierna cautela, dei contenuti della domanda cautelare, nonché dell’esatto contenuto della futura azione di merito, il ricorso introduttivo va qualificato come istanza ex art. 700 c.p.c., atteso lo stretto nesso tra l’accertamento richiesto e l’interesse da far valere in successivo giudizio; depone in tal senso anche il contenuto atipico della cautela richiesta che esula dal mero accertamento tecnico e comporta, di fatto, una anticipazione di atti provvedimentali, al fine di conseguire il risultato auspicato con la promozione del giudizio ex art. 269 c.p.c. Per i motivi già illustrati sussistono i presupposti per la concessione della cautela inaudita altera parte, dovendosi, però, al contempo, già in questa sede, provvedere alla regolare instaurazione del contraddittorio. Il contraddittorio cautelare va costruito guardando a quelle che sarebbero le parti necessarie nel merito. Ebbene, ai sensi dell’art. 276 c.p.c., come riscritto dall’art. 1 legge 10 dicembre 2012 n. 219 e modificato e modificato dall’art. 33 comma I, d.lgs.
28 dicembre 2013 n. 154, «la domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in sua mancanza, nei confronti dei suoi eredi. In loro mancanza, la domanda deve essere proposta nei confronti di un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso». La Suprema Corte di Cassazione ha già avuto modo di rendere chiarimenti interpretativi al riguardo (Cass. Civ., sez. I, sentenza 19 settembre 2014 n. 19790) affermando che, nell’ipotesi, in cui il genitore o i suoi eredi diretti manchino fin dall’instaurazione del giudizio il curatore speciale non può che ritenersi una parte necessaria. La Suprema Corte ha anche valorizzato, in tal caso, la necessità della curatela speciale, in ragione del possibile conflitto di interessi che possa determinarsi. Nel caso in esame, la ricorrente non ha allegato l’identità degli eredi del … se non quella dei suoi figli: si tratta, però, di minori che dovrebbero essere rappresentati in causa dalla madre, la quale in quel caso verserebbe in conflitto di interessi. Essendo i minori (eredi) parti del processo, in conflitto potenziale di interessi con il loro rappresentante, in loro favore va nominato d’ufficio un curatore speciale, trattandosi di un potere generale del giudice (Corte Cost. n. 83 del 2011). Va precisato che anche l’azienda in possesso delle provette è da ritenere contraddittore necessario posto che il provvedimento investe anche la sfera giuridica soggettiva della stessa. La domanda va pure comunicata all’Ufficio di Procura, ex artt. 71, 70 comma III c.p.c.
Provvedimento improcrastinabile
Tenuto conto del fatto che i campioni biologici contenuti nelle provette custodite dall’azienda sanitaria di …. sono suscettibili di alterazione sino a non essere più utili per un test del DNA va designato immediatamente un Consulente affinché conduca un accertamento teso a verificare se il defunto …. fosse il padre del nascituro; come noto, un accertamento del genere può anche essere condotto basandosi sul DNA fetale in circolazione nel sangue materno; ferma restando ogni scelta tecnica del consulente, inclusa quella di utilizzare campioni di sangue del nascituro o del neonato (la nascita è prossima).
P.Q.M.
Letti e applicati gli artt. 669-bis e ss c.p.c.,
in via di assoluta urgenza e inaudita altera parte,
NOMINA consulente tecnico d’Ufficio il dr. …., iscritto all’Albo dei consulenti tecnici d’Ufficio del Tribunale di Milano, ed esperto in genetica forense al fine di condurre un accertamento emato-genetico per accertare se il nascituro, nel grembo di …, nata a … il …, sia figlio di .., nato a … in data ….
DISPONE che l’Azienda … della …, unita sanitaria locale di …, in persona del legale rappresentante pro-tempore, metta a disposizione del CTU designato le provette di sangue di cui in possesso, al fine di condurre l’accertamento demandato; in via preferenziale, l’accertamento in parola dovrà avvenire nei locali messi a disposizione della .. stessa, evitando così il rischio di dispersione, smarrimento, alterazione dei campioni, in caso di loro trasferimento in altra sede. In caso di costi, l’ASL ne richiederà direttamente il pagamento alla ricorrente, …..
DISPONE che il CTU espleti l’incarico accertando, in via principale, la riconducibilità del materiale biologico al …. e provvedendo ad utilizzare il materiale biologico nella misura strettamente necessaria e, dunque, ove possibile, restituendo la parte di campione in esubero.
DISPONE che il consulente tecnico d’Ufficio depositi l’esito della propria relazione peritale entro la data del 30 giugno 2016, salvo proroghe richieste per la natura dell’accertamento da svolgere.
LIQUIDA al consulente tecnico d’Ufficio un acconto per le spese da sostenere, quantificato in complessivi euro 1.500 che pone a carico della parte ricorrente.
In merito al procedimento,
NOMINA curatore speciale degli eredi di …. – i minori …….- l’Avvocato … … del foro di Milano, esperto in diritto di famiglia e minori, con il compito di costituirsi in giudizio in nome dei minori stessi, con ogni facoltà difensiva e con la precipua facoltà di partecipare ai lavori peritali, nei termini stabiliti per tutte le parti dal CTU. Il curatore potrà costituirsi fino a 5 giorni prima dell’udienza.
DISPONE che parte ricorrente, entro e non oltre il …. giugno, notifichi l’odierno provvedimento e il ricorso introduttivo del procedimento, alla Azienda … …, unita sanitaria locale di …, in persona del legale rappresentante pro-tempore,
DISPONE che parte ricorrente, entro e non oltre il … giugno, notifichi l’odierno provvedimento e il ricorso introduttivo del procedimento, agli eredi di …, per i quali la parte ricorrente depositerà nota integrativa indicandone l’identità, allegando quanto meno la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, in difetto di altri elementi di prova;
ABILITA le parti resistenti, entro e non oltre il … giugno, a depositare memoria difensiva e documenti,
DISPONE che la Cancelleria comunichi l’odierno provvedimento e il ricorso introduttivo, senza indugio, all’Ufficio di Procura, affari civili, per quanto eventualmente di competenza ed eventualmente le Sue conclusioni;
FISSA udienza dinanzi a questo Tribunale in data: 6 luglio 2016, ore 9.00, disponendo la comparizione personale delle parti, la comparizione del CTU per il giuramento ex art. 193 c.p.c.
In quella sede, si raccoglieranno le istanze eventuali delle parti costituite per le eventuali richieste in merito al diritto di difesa, anche con facoltà di procedere a nomina di CTP per i rilievi tecnici.
L’udienza si terrà presso il Tribunale di Milano, sezione IX civile, uffici giudiziari di …..
Ordinanza immediatamente esecutiva
Si comunichi con urgenza a cura della Cancelleria:
1) Al Consulente tecnico d’Ufficio;
2) Al curatore speciale designato
3) Al Pubblico Ministero, Affari Civili
4) Alla parte ricorrente, presso il domicilio eletto
Milano, lì 31 maggio 2016
Il giudice
Dr. Giuseppe Buffone