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CESENA FORLI RAVENNA LUGO MAlaSanitA e RisaRciMento,
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Malasanità: risarcimento dei danni
La malasanità è un fenomeno complesso che si verifica quando un paziente subisce un danno a causa di un errore o di una omissione di un operatore sanitario.
Il risarcimento dei danni in caso di malasanità è un diritto del paziente, ma richiede un’attenta valutazione del caso concreto.
Le tipologie di danno
I danni che possono essere risarciti in caso di malasanità possono essere di natura patrimoniale o non patrimoniale.
I danni patrimoniali sono quelli che possono essere quantificati in denaro, come ad esempio:
- Le spese mediche, chirurgiche e farmaceutiche;
- Le spese di assistenza e di accompagnamento;
- La perdita di guadagno;
- La riduzione della capacità lavorativa;
- L’invalidità permanente.
I danni non patrimoniali sono quelli che non possono essere quantificati in denaro, come ad esempio:
- Il dolore e la sofferenza;
- La perdita della qualità della vita;
- La lesione del diritto alla salute;
- Il danno esistenziale.
L’onere della prova
L’onere della prova del danno incombe sul paziente. Tuttavia, la giurisprudenza ha stabilito che, in caso di errore medico, il paziente può limitarsi a provare l’esistenza dell’errore e il nesso causale tra l’errore e il danno. In questo caso, l’ente sanitario è tenuto a provare la propria non colpevolezza.
La responsabilità della struttura sanitaria
La responsabilità della struttura sanitaria può essere contrattuale o extracontrattuale.
La responsabilità contrattuale si configura quando sussiste un contratto tra la struttura sanitaria e il paziente. In questo caso, la struttura è tenuta a prestare al paziente le cure necessarie con la diligenza di un buon padre di famiglia.
La responsabilità extracontrattuale si configura quando non sussiste un contratto tra la struttura sanitaria e il paziente. In questo caso, la struttura è tenuta a risarcire il danno solo se l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento è stato causato da un’azione o un’omissione contraria a legge o al buon costume.
La responsabilità del medico
La responsabilità del medico può essere contrattuale o extracontrattuale.
La responsabilità contrattuale si configura quando il medico è un dipendente della struttura sanitaria e presta le sue cure al paziente nell’ambito del rapporto di lavoro. In questo caso, la struttura sanitaria è responsabile in solido con il medico.
La responsabilità extracontrattuale si configura quando il medico non è un dipendente della struttura sanitaria e presta le sue cure al paziente in modo autonomo. In questo caso, il medico è responsabile in via esclusiva.
La procedura per ottenere il risarcimento
Il paziente che intende ottenere il risarcimento del danno da malasanità può rivolgersi alla struttura sanitaria o al medico responsabile.
Se la richiesta di risarcimento viene respinta, il paziente può adire l’autorità giudiziaria.
La prescrizione
Il diritto al risarcimento del danno da malasanità si prescrive in 10 anni dal fatto dannoso.
La tutela dei diritti del paziente
Il paziente che ritiene di essere stato vittima di malasanità può rivolgersi a un’associazione di tutela dei diritti del malato.
Queste associazioni possono fornire assistenza legale e psicologica al paziente e possono aiutarlo a tutelare i propri diritti.
I casi di malasanità
I casi di malasanità possono essere ricondotti a diverse fattispecie, tra cui:
- Errore diagnostico: si tratta dell’errore commesso dal medico nella diagnosi di una malattia.
- Errore terapeutico: si tratta dell’errore commesso dal medico nel trattamento di una malattia.
- Omissione di cure: si tratta dell’inadempimento dell’obbligo di prestare le cure necessarie al paziente.
- Infezione nosocomiale: si tratta di un’infezione contratta da un paziente durante il suo ricovero in una struttura sanitaria.
La prevenzione della malasanità
La prevenzione della malasanità è un obiettivo importante che può essere raggiunto attraverso diverse misure, tra cui:
- **L’aggiornamento continuo delle conoscenze e delle competenze dei professionisti sanitari;
- **La diffusione della cultura della sicurezza del paziente;
- Il miglioramento dell’organizzazione e della gestione delle strutture sanitarie.
La malasanità è un fenomeno complesso che può avere conseguenze gravi per la salute e la vita dei pazienti.
Il risarcimento dei danni in caso di malasanità è un diritto del paziente, ma richiede un’attenta valutazione del caso
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la diagnosi si è rivelata errata oppure è stata posta in grave ritardo;
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l’intervento medico è stato eseguito con negligenza o imprudenza ;
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le cure ricevute sono state inadeguate o la struttura sanitaria aveva delle carenze strutturali e organizzative;
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è stata contratta una graveinfezione ospedaliera o un contagio con sangue infetto;
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carenze organizzative nosocomiali delle strutture, che incidono sulla efficienza e sulla salubrità degli ambienti sanitari (cfr. infezioni), oppure sulla ripetizione di errori professionali (si pensi alla maggiore esposizione al rischio di sanitari costretti ad orari di lavoro eccessivamente onerosi);
Quando si calcola? Innanzi tutto è necessario indicare in quali settori è necessario valutare il danno biologico infatti numerosi sono i casi: incidente stradale; incidente sul lavoro; errore medico.
Per fare il calcolo del danno biologico e determinare quindi l’entità del risarcimento danni ci si basa su tabelle elaborate da vari tribunali, in particolare sulla tabella del Tribunale di Milano.
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negligenze / imperizie / imprudenze da parte di medici ed infermieri, talvolta nel corso di prestazioni (soprattutto diagnostiche) routinarie, senz’altro evitabili alla luce delle conoscenze scientifiche, delle linee guida e dei protocolli in vigore;
QUALI I SETTORI PIU’ ESPOSTI PER LA MASANITA’ ?
, ma non solo, sono generalmente i seguenti:
Anestesia;
Chirurgia generale ed estetica;
Ginecologia e ostetricia;
Oculistica;
Oncologia
Gli errori medici più comuni, invece, riguardano:
diagnosi errata o tardiva;
mancata esecuzione di esami che pregiudica lo stato di salute del paziente;
intervento chirurgico eseguito senza le opportune attenzioni del caso;
cattiva gestione della fase post-operatoria
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Risarcimento Malasanità per Errore Medico: ecco Come Fare
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L’avvocato SERGIO ARMAROLI si occupa di assistenza legale alle vittime di malasanità per errori medici.
Se pensi di aver subito un danno fisico dovuto ad un errore medico, se un tuo familiare è deceduto a causa di un errore commesso da un medico, rivolgiti all’avvocato Sergio Armaroli di Bologna Ravenna Forli Cesena Rimini
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Errata diagnosi, errato intervento chirurgico, omessa o tardiva diagnosi oncologica, danno da vaccino, danno estetico, errata terapia farmacologica, ecc.
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Purtroppo, sono molto frequenti i casi di danni subiti, causa fatto colposo di un professionista o di una struttura medico-sanitaria.
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E hai subito un danno biologico
Ti da’ diritto al risarcimento del danno nel caso in cui lo stesso sia imputabile a colpa o dolo.
Rivolgiti subito all’avvocato Sergio Armaroli se sei stato vittima di:
• una diagnosi sbagliata;
• una diagnosi ritardata (il cui ritardo ha generato complicazioni nelle condizioni di salute);
• un’omissione sugli esami da eseguire (che avrebbero chiarito le condizioni di salute);
• un intervento chirurgico eseguito in modo errato;
• una cattiva gestione delle cure successive ad un intervento
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Anestesia: morte sopraggiunta nel corso dell’anestesia lesioni dovute all’intubazione
Chirurgia: errata esecuzione dell’intervento inefficacia dell’intervento scarsa assistenza post-operatoria esecuzione di interventi inadeguati errata o mancata diagnosi patologica I casi più frequenti di malasanità riguardano l’anestesia, la chirurgia generale, la neurochirurgia, l’oncologia, l’ortopedia, l’ostetricia e la ginecologia.
Si sono avuti errori medici nella somministrazione sbagliata di farmaci, nella lesione di organi durante un intervento chirurgico, mancanza di guarigione per diagnosi sbagliata, non riconoscimento di una frattura, accertamenti diagnostici non eseguiti, decesso durante il parto, mancata diagnosi di eventuali malformazioni del nascituro prima del parto.
Chirurgia Estetica: errata esecuzione dell’intervento
Medicina Interna: errata o mancata diagnosi patologica errato approccio terapeutico
Oculistica: infezioni contratte durante gli interventi errata esecuzione di interventi di cataratta e di correzione laser della miopia
Odontoiatria: mancato raggiungimento dei risultati sperati
Oncologia: diagnosi ritardata dei tumori trattamento tumorale ritardato
Ortopedia: errata diagnosi presso il Pronto Soccorso ,
mancata diagnosi dell’infarto del miocardio, errato approccio terapeutico per le fratture, mancata esecuzione di esami ai Raggi X,
errata esecuzione dell’intervento per la sintesi delle fratture, sopraggiungere di infezioni nosocomiali,
Responsabilità della Struttura Ospedaliera: infezioni nosocomiali
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Ogni giorno abbiamo purtroppo molte vittime di malasanita’ sempre di piu’ , la malasanità colpisce chiunque giovani bambini e anziani, perché purtroppo in assoluto l’errore medico difficilmente è inevitabile
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A chi conosce la materia a un avvocato esperto che abbia trattato spesso danni da errore medico
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Da oltre 20 anni, tuteliamo i diritti del malato e difendiamo la sua dignità, attraverso un giusto risarcimento danni in seguito ad un errore medico.
Ecco perché può essere strategico, oltre che farsi assistere da professionisti della materia legale e da periti specializzati, anche partire con il piede giusto sin dai primi passi. Pazienti che hanno subito danni come risultato di negligenza medica, hanno la facoltà di richiedere i danni al medico colpevole di malasanità, al personale che l’ha assistito, o alla struttura presso la quale opera il medico, ad esempio un ospedale o una clinica. Al fine di richiedere i danni, la parte lesa deve presentare una querela in sede penale, o civile o entrambi.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – SENTENZA 4 giugno 2019, n.15182 – Presidente Manna – Relatore Dongiacomo
Ragioni della decisione
1. Il ricorso è tempestivo. La sentenza impugnata, infatti, è stata depositata in data 28/8/2014 mentre il ricorso per cassazione è stato notificato a seguito di richiesta del 15/10/2015: vale a dire, com’è evidente, se si considera, per l’anno 2014, il periodo di sospensione dei termini dall’1 agosto al 15 settembre, e, per l’anno 2015, il periodo di sospensione dei termini dal 1 agosto al 31 agosto (L. n. 742 del 1969, art. 1, nel testo applicabile ai sensi del D.L. n. 132 del 2014, art. 16, commi 1 e 3, conv. con modif. dalla L. n. 162 del 2014: Cass. n. 20866 del 2017), entro il termine di decadenza stabilito dall’art. 327 c.p.c., comma 1, nel testo in vigore prima delle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 17, trattandosi, ai fini della L. n. 69 cit., art. 58, comma 1, di processo introdotto in data anteriore al 4/7/2009, pari ad un anno dalla pubblicazione della sentenza.
2. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha omesso di pronunciarsi sulla domanda che lo stesso, tanto nella comparsa di risposta nel giudizio di primo grado, quanto nell’atto d’appello nel giudizio di secondo grado, aveva proposto, sia pur in via subordinata, e cioè di dichiarare che l’appartamento in (omissis) , con annessa autorimessa, ricadeva nella comunione legale tra la L. ed il marito e che, pertanto, la metà dello stesso facesse parte dell’asse ereditario relitto dal defunto.
3. Il motivo è infondato. La sentenza impugnata, in effetti, si è pronunciata sulla domanda proposta dall’appellante. La corte d’appello, infatti, ha, sul punto, ritenuto, correttamente o meno non importa, che, relativamente al predetto bene, l’appellante non avesse adempiuto al proprio onere probatorio, non avendo dimostrato che gli acquisti da parte della L. erano stati, in realtà, fatti dal padre con denaro proprio o, altrimenti, con denaro comune dei conti bancari cointestati, con la conseguente applicazione, a dispetto della contraria dichiarazione contenuta nell’atto d’acquisto, del regime previsto della comunione legale tra i coniugi. La pronuncia sulla domanda (o meglio, sul motivo di gravame con il quale l’appellante aveva censurato la sentenza di primo grado che l’aveva rigettata) esclude, pertanto, che la sentenza impugnata possa essere efficacemente censurata per il vizio costituito dalla dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c..
4. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 183 c.p.c., nella formulazione vigente fino al 1 marzo 2006, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato la decisione con la quale il tribunale ha accolto la domanda che gli attori avevano proposto solo in sede di precisazione delle conclusioni, procedendo alla divisione dell’asse ereditario con la formazione di due soli lotti della consistenza pari, rispettivamente, a 7/9, che ha assegnato congiuntamente agli attori, ed a 2/9, che ha assegnato al convenuto, in tal modo violando la preclusione stabilita dall’art. 183 c.p.c., u.c., superabile nel giudizio di divisione solo in ipotesi di indivisibilità prevista dall’art. 720 c.c., la quale, tuttavia, nel caso di specie non ricorre, visto che, in sede di divisione di una comunione ereditaria, qualora di essa facciano parte più immobili che, seppure isolatamente considerati non possano dividersi in tante frazioni quante sono le quote dei condividenti, ma consentano da soli o insieme con altri beni, di comporre la quota di alcuni in modo che porzioni degli altri possano formarsi con i restanti immobili del compendio, non può più farsi questione di indivisibilità o di non comoda divisibilità, dato il realizzarsi del soddisfacimento delle quote con la ripartizione qualitativa e quantitativa dei vari cespiti compresi nella comunione.
5. Il motivo è infondato. Lo scioglimento della comunione ereditaria non è, infatti, incompatibile con il perdurare di uno stato di comunione ordinaria rispetto a singoli beni già compresi nell’asse ereditario in divisione: in effetti, quando siano state compiute le operazioni divisionali, dirette ad eliminare la maggior parte delle varie componenti dell’asse ereditario, indiviso al momento dell’apertura della successione, la comunione residuale sui beni ereditari si trasforma in comunione ordinaria (Cass. n. 20041 del 2016, in motiv.). Va, dunque, rimarcato che, in tema di divisione ereditaria, l’art. 720 c.c., consente al giudice di attribuire un bene non comodamente divisibile, per l’intero, non solo nella porzione del coerede con quota maggiore, ma anche nelle porzioni di più coeredi che tendano a rimanere in comunione come titolari della maggioranza delle quote (cfr. Cass. n. 2296 del 1996; Cass. n. 5603 del 2016), a prescindere dal fatto che altri coeredi si oppongano (Cass. n. 20250 del 2016: nell’ipotesi di non comoda divisibilità dei beni immobili compresi nell’eredita, è consentito che venga assegnato ad alcuni coeredi, che ne facciano unitamente domanda, un cespite comodamente separabile dagli altri e rientrante nella quota congiunta dei coeredi predetti, ancorché gli altri coeredi si oppongano, in quanto, come risulta dai principi in tema di comunione e dal combinato disposto degli artt. 718 e 720 c.c., l’attribuzione a più coeredi di un unico cespite pro indiviso è possibile se vi sia la richiesta congiunta dei coeredi interessati, che sono soltanto coloro i quali rimarranno in comunione nei confronti del cespite di cui è stata domandata la attribuzione). Peraltro, nel giudizio di divisione, la richiesta di attribuzione di beni determinati ai sensi dell’art. 720 c.c., attiene alle modalità di attuazione della divisione e, pertanto, essendo diretta al già richiesto scioglimento della comunione, della quale costituisce una mera specificazione, non costituisce domanda nuova (Cass. n. 10624 del 2010; Cass. n. 10856 del 2016; Cass. n. 3497 del 2019) e può essere, dunque, proposta anche in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado (Cass. n. 14756 del 2016: l’istanza di attribuzione ex art. 720 c.c., pur tendenzialmente soggetta alle preclusioni processuali, può essere avanzata per la prima volta in corso di giudizio, e anche in grado di appello, ogni volta che le vicende soggettive dei condividenti o quelle attinenti alla consistenza oggettiva e qualitativa della massa denotino l’insorgere di una situazione di non comoda divisibilità del bene, così da prevenirne la vendita, che rappresenta l’extrema ratio voluta dal legislatore) e, per la prima volta, perfino in appello (Cass. n. 9367 del 2013, che ha affermato il diritto delle parti del giudizio divisorio di mutare, anche in sede di appello, le proprie conclusioni e richiedere per la prima volta l’attribuzione, per intero o congiunta, del compendio immobiliare, integrando tale istanza una mera modalità di attuazione della divisione): la composizione delle quote, infatti, non modifica né la causa petendi, né l’oggetto del giudizio, ma attiene solo alle modalità di scioglimento della comunione in base alla stima dei beni, rimessa alla valutazione del giudice di merito (Cass. n. 9655 del 2013). Peraltro, nel caso in cui, in primo grado, una delle parti abbia formulato domanda di attribuzione dell’intero compendio, mentre l’altra si è limitata ad opporsi alla divisione, quest’ultima non può più proporre la domanda di attribuzione per la prima volta in grado di appello (Cass. n. 10624 del 2010). Quanto al resto, la Corte non può che ribadire come, in tema di scioglimento di una comunione ereditaria avente ad oggetto un compendio immobiliare, l’accertamento del requisito della comoda divisibilità del bene, ai sensi dell’art. 720 c.c., è riservato all’apprezzamento di fatto del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua, coerente e completa (Cass. n. 5603 del 2016; Cass. n. 7961 del 2003). Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, in tema di divisione giudiziale di compendio immobiliare ereditario, l’art. 718 c.c., in virtù del quale ciascun coerede ha il diritto di conseguire in natura la parte dei beni a lui spettanti con le modalità stabilite nei successivi artt. 726 e 727 c.c., trova deroga, ai sensi dell’art. 720 c.c., nel caso di ‘non divisibilità’ dei beni, come anche in ogni ipotesi in cui gli stessi non siano ‘comodamente’ divisibili, vale a dire quando, pur risultando il frazionamento materialmente possibile sotto l’aspetto strutturale, non siano tuttavia realizzabili porzioni suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive, e non richiedenti opere complesse o di notevole costo, ovvero porzioni che, sotto l’aspetto economico-funzionale, risulterebbero sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell’intero (Cass. n. 25888 del 2016; Cass. n. 12498 del 2007). La non comoda divisibilità di un immobile, integrando, tuttavia, un’eccezione al diritto potestativo di ciascun partecipante alla comunione di conseguire i beni in natura, può ritenersi legittimamente praticabile solo quando risulti rigorosamente accertata la ricorrenza dei suoi presupposti, costituiti, come detto, dall’irrealizzabilità del frazionamento dell’immobile, o dalla sua realizzabilità a pena di notevole deprezzamento o di costi eccessivi, o dall’impossibilità di formare in concreto porzioni autonome. La relativa indagine implica un accertamento di fatto e la conseguente decisione è incensurabile in sede di legittimità per violazione di legge, potendosi sindacare soltanto l’eventuale omesso esame circa un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. n. 30073 del 2017, in motiv.; Cass. n. 14577 del 2012): ciò che, nella specie, non risulta neppure implicitamente dedotto.
6. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 713, 718 e 726 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, dopo aver espunto dalla massa ereditaria da dividere la quota pari alla metà dell’appartamento di via (omissis) di proprietà di L.S. , non ha provveduto alla formazione di un altro progetto divisionale con la conseguenza che nel lotto del convenuto ricade il 50% dell’appartamento di proprietà del de cuius, vale a dire un bene del quale non è l’esclusivo proprietario e per di più indivisibile, violando, in tal modo, la funzione della divisione, che è quella di far cessare lo stato di comunione trasformando i diritti pro quota dei singoli partecipanti in diritti individuali di proprietà esclusiva.
7. Il motivo è infondato. Il ricorrente, infatti, lamenta, in sostanza, che, nel lotto attribuitogli, è stata inserita una quota immobiliare: la quale, però, costituisce l’intero diritto del de cuius caduto in successione. La composizione delle quote, del resto, attiene, come in precedenza osservato, solo alle modalità di scioglimento della comunione in base alla stima dei beni ed è rimessa alla valutazione del giudice di merito (Cass. n. 9655 del 2013). La corte d’appello, sul punto, con motivazione non apparente né contraddittoria, ha ritenuto di confermare il progetto divisionale ‘C’ sul rilievo che lo stesso comprendeva nella quota di M.M. proprio la quota dell’appartamento che lo stesso occupa, ‘ciò che si presume rispettare un vecchio assetto di interessi, prospettato nel processo e non specificamente (in)contestato, così come del resto ha detto il tribunale’.
8. Con il quarto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 183 c.p.c., nella formulazione vigente fino al 1 marzo 2006, e dell’art. 723 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che il convenuto avesse fatto richiesta agli attori di rendere il conto della propria gestione non già con la comparsa di risposta ma con una successiva memoria e che, al riguardo, il contraddittorio non era stato accettato dagli attori i quali, al contrario, con la prima risposta, ne avevano eccepito la tardività, laddove, in realtà, la richiesta di rendiconto era stata proposta dal convenuto nella memoria depositata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., u.c., che, nella formulazione applicabile alla controversia in questione, consente di precisare o modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già proposte, per cui la domanda di rendiconto non è affatto tardiva, tanto più che, a norma dell’art. 723 c.c., il rendiconto è un’operazione inserita nel procedimento divisorio allo scopo di determinare lo stato attivo e passivo, le porzioni ereditarie e i conguagli.
9. Il motivo è infondato. Questa Corte, infatti, ha avuto modo di affermare che, per potersi procedere al rendiconto ai sensi dell’art. 723 c.c., è necessaria un’apposita domanda. Il rendiconto, infatti, ancorché per il disposto dell’art. 723 c.c., costituisca un’operazione contabile che deve necessariamente precedere la divisione, in quanto preliminare alla determinazione della quota spettante a ciascun condividente, non si pone, tuttavia in rapporto di pregiudizialità con la proposizione della domanda di divisione giudiziale, ben potendosi richiedere la divisione giudiziale ex art. 1111 c.c., a prescindere dal rendiconto. L’azione di rendiconto costituisce, pertanto, un’azione autonoma e distinta rispetto alla domanda di scioglimento della comunione con la conseguenza che la domanda riconvenzionale con la quale si intende chiedere il rendiconto dev’essere proposta, a pena di inammissibilità con la comparsa di risposta ai sensi dell’art. 167 c.p.c., che ne preclude la proponibilità nell’ulteriore corso del giudizio (Cass. n. 5861 del 1991): in particolare, la domanda di rendiconto non può essere proposta per la prima volta, nel corso del giudizio di primo grado, con la memoria prevista dall’art. 183 c.p.c., comma 5, nel testo in vigore anteriormente alle modifiche apportate con il D.L. n. 35 del 2005, conv. con la L. n. 80 del 2005, applicabile ratione temporis al giudizio in questione.
10. Con il quinto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 713, 720, 718, 726 e 728 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pur dando atto dell’inattualità dei valori dei beni, ha rifiutato l’ammissione di una consulenza tecnica d’ufficio ed ha, quindi, deciso sulla di valori non più attuali in quanto risalenti al momento in cui gli stessi sono stati stimati nel corso del giudizio di primo grado, laddove, in realtà, il valore dei beni da dividere dev’essere determinato con riferimento al loro valore venale al momento della decisione.
11. Con il sesto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 726 c.c., e degli artt. 191 e 196 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rifiutato l’ammissione di una consulenza tecnica d’ufficio per determinare all’attualità i valori dei cespiti da dividere, sul rilievo che, pur non essendovi dubbi circa la perdita di attualità dei valori, ‘un po’ per non essere stati specificamente contestati dall’appellante’, ‘un po’ per la presuntiva compensazione in questi sei anni di certe note turbolenze del mercato immobiliare verificatesi come conseguenza della crisi economica di fine 2008’, tali valori si presumono ancora validi, specie se si considera che, in mancanza di consulenza di parte e di specifiche deduzioni dell’appellante, la nuova consulenza tecnica avrebbe un’inammissibile funzione esplorativa. Sennonché, ha osservato il ricorrente, la logica del ragionamento della corte d’appello è incomprensibile e non consente di rinvenire nella sentenza l’esistenza di un minimo motivazionale che è escluso proprio dal contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, con la conseguente inesistenza della motivazione.
12. Il quinto ed il sesto motivo, da trattare congiuntamente per l’evidente connessione dei temi trattati, sono infondati. La corte d’appello, infatti, ha escluso la necessità di un supplemento peritale non essendovi dubbi ‘in ordine alla perdita di attualità dei valori’ (rectius: all’attualità dei valori) dei beni da dividere dei quali, in sostanza, ha presunto la perdurante validità ‘un po’ per non essere stati specificamente contestati dall’appellante’, ‘un po’ per la presuntiva compensazione in questi sei anni di certe note turbolenze del mercato immobiliare verificatesi come conseguenza della crisi economica di fine 2008’, aggiungendo, infine, che, in mancanza di consulenza di parte e di specifiche deduzioni dell’appellante, la nuova consulenza tecnica avrebbe avuto un’inammissibile funzione esplorativa. Ora, nel giudizio di divisione, il valore dei beni si determina con riferimento ai prezzi di mercato correnti al tempo della decisione, con conseguente necessità di aggiornamento di tale valore d’ufficio, anche in appello, per adeguarlo alle fluttuazioni di mercato dello specifico settore (Cass. n. 9207 del 2005). Tale regola, tuttavia, non esclude che, in tale giudizio, può aversi riguardo alla stima dei beni effettuata in data non troppo vicina a quella della decisione tutte le volte in cui il giudice di merito – con apprezzamento di fatto non censurabile in cassazione se non per omesso esame circa un fatto decisivo a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile ratione temporis – accerti che, nonostante il tempo trascorso, per la stasi del mercato o per il minor apprezzamento del bene in relazione alle sue caratteristiche, non sia intervenuto un mutamento di valore che renda necessario l’adeguamento di quello stabilito al tempo della stima (cfr. Cass. n. 3635 del 2007). Ne consegue che, ove solleciti una rivalutazione degli immobili per effetto del tempo trascorso dall’epoca della stima, la parte che vi è interessata ha l’onere non soltanto di allegare le ragioni di un significativo mutamento del valore degli stessi intervenuto medio tempore, non essendo sufficiente il mero riferimento al lasso temporale intercorso (Cass. n. 3029 del 2009), ma anche di fornire, nel caso in cui a tal fine invochi una consulenza tecnica d’ufficio, tutti gli elementi materiali e logici che possano convincere il giudice, sia pur a livello di fumus, della sussistenza del dedotto mutamento e, così, giustifichino la promozione del complesso meccanismo degli accertamenti peritali d’ufficio, senza sollecitare il compimento di un’indagine meramente esplorativa che ricerchi elementi, fatti o circostanze non provati (Cass. n. 2205 del 1996; Cass. n. 3343 del 2001; Cass. n. 5422 del 2002; Cass. n. 3191 del 2006; Cass. n. 3130 del 2011; Cass. n. 30218 del 2017). Stando così le cose, la decisione impugnata si sottrae, evidentemente, alle censure formulate dal ricorrente il quale, infatti, non solo non ha indicato quale fatto la corte d’appello, nel presumere l’attualità dei valori a suo tempo accertati dal consulente tecnico, avrebbe omesso, benché decisivo, di esaminare, ma neppure ha chiarito, riproducendone in ricorso i passi significativi (v. invece, il ricorso, p. 13, 14), di avere dedotto in giudizio tutti gli elementi necessari per convincere il giudice del lamentato mutamento di valore dei beni da dividere e di aver chiesto, proprio su tale base, l’aggiornamento del relativo accertamento peritale.
13. Con il settimo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 789 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, dopo aver espunto dal lotto assegnato a M.M. il 50% dell’appartamento di (omissis) di proprietà di L.S. , non ha predisposto, come imposto dall’art. 789 c.c., un progetto di formazione delle quote che tenesse conto anche del fatto che il valore dei cespiti nel frattempo si era modificato e che l’inserimento del 50% de quo non rispondeva alla funzione della divisione, che è quella di trasformare la quota di diritto in un lotto formato da beni di esclusiva proprietà.
14. Il motivo è assorbito dal rigetto dal terzo.
15. Il ricorso dev’essere, quindi respinto.
16. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
17. La Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
la Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
Possono commettere un errore medico uno o più delle seguenti figure, talvolta in concorso tra loro:
· Medico di base
· Primario
· Dirigente medico
· Chirurgo
· Medico generico
· Infermiere
· Personale paramedico
· Guardia medica.
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Chi si affida all’avvocato Sergio Armaroli riceve in tempi ristretti un dettagliato riscontro sul proprio caso di malasanità e conosce in maniera chiara:
· Come fare la denuncia per malasanità
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· Nel caso in cui è certo che un errore medico ha provocato un danno, allora il paziente o la sua famiglia è legittimata a richiedere risarcimento. Al medico che ha stabilito la diagnosi, somministrato la terapia, eseguito l’intervento, ecc, o anche alla struttura ospedaliera nella quale il medico in regime di convenzione o in qualità di dipendente. Nel caso che si tratti di una struttura pubblica, il risarcimento dovrà essere inviato anche all’ASL di riferimento.
· Quale documentazione serve:
Cartelle cliniche, referti medici ospedalieri, certificazioni e prescrizioni di eventuali cure o esami, che vanno dal periodo in cui sono sorti i primi sintomi fino a quando si sono stabilizzati o conclusi .
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I casi di malasanità sono più frequenti di quanto si immagini a volte: Avvocato Sergio Armaroli offre in particolare consulenze specializzate, avvalendosi di professionisti fidati ed assistendoti in tutto.
Questi frangenti sono spesso difficili anche dal punto di vista umano:Chiama l’avvocato Sergio Armaroli di Bologna 051 6447838 . Sapremo supportarti in un percorso a volte non facile, con discrezione e cortesia: affidati a noi.
Dove l’errore umano è illecito: avvocato Sergio Armaroli
L’imperizia e la disattenzione sono spesso i motivi principali che portano ai danni alle persone nelle strutture sanitarie. L’errore fa parte della vita professionale del medico, in particolare di chi lavora in sala operatoria o è addetto al primo soccorso, come chirurghi, anestesisti e paramedici.
A volte questi però errori hanno conseguenze molto dolorose e nei casi più drammatici possono portare al decesso: in questi casi è un diritto di ognuno di noi potersi appellare in sede giuridica per ottenere il giusto risarcimento morale e materiale.
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COME OTTENERE IL RISARCIMENTO DA ERRORE MEDICO ?
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Chi sospetta di essere stato vittima di errore medico deve:
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richiedere copia della cartella clinica;
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sottoporre tutta la documentazione ad un medico legale che valuterà se sussiste un errore e l’entità dei danni;
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in caso di parere positivo del medico legale inviare una richiesta di risarcimento:
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al medico che ha curato la terapia
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alla struttura sanitaria dove la terapia è stata eseguita
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all’Azienda Sanitaria Locale competente (in caso di cure presso una struttura pubblica);
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prendere contatti con la Compagnia Assicuratrice incaricata della gestione del sinistro per valutare di trovare un accordo;
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in caso di esito negativo prima di rivolgersi al giudice è necessario, tramite un avvocato, tentare una conciliazione.
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Chi ha subito un danno puo ‘chiedere all’autorita’ giudiziaria , cioè da un Giudice, se ha subito le conseguenze di un errore medico nella diagnosi o nella terapia e se ha diritto ad un risarcimento del danno.
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Considerato che il peggioramento delle condizioni di salute può essere dovuto non soltanto ad una azione non appropriata o ad una omissione del medico, ma anche alla generale condizione fisica del paziente stesso, la prova spesso non è così lampante.
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Non è pertanto facile provare dinanzi al Giudice che il danno è stato provocato dal trattamento medico.
L’errore medico o malpractice medica implica danni e quindi un risarcimento sia per l’invalidità riportata dal paziente sia per il danno patrimoniale che ne può conseguire; inoltre la legge prevede un maxi risarcimento per i famigliari della persona morta in seguito ad errore medico e malasanità. Importanti inoltre sono i risarcimenti da responsabilità medica per danni cerebrali al neonato durante il parto e durante il travaglio. tutelare infine i diritti del malato per una mancanza di consenso informato sui rischi della terapia.
Secondo gli articoli 2935 e 2946 del cod. civile la responsabilità professionale del medico e’ da considerarsi nell’ ambito contrattuale quindi la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere e si compie nel termine di dieci anni.
Anche in caso di danno rimasto occulto, il termine di prescrizione inizia a decorrere dal momento dell’esteriorizzazione di esso.
AVVOCATO ESPERTO MALASANITA’ BOLOGNA RAVENNA PADOVA FORLI
Lo Studio Legale Avvocato Sergio Armaroli è esperto nella tutela, tanto in sede civile quanto in sede penale, di persone che siano state vittime di episodi di malasanità, alle quali si procura un giusto risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.
Rivolgersi ad un avvocato esperto in responsabilità medica è la strada più sicura ed efficace per ottenere un risarcimento.
I legali dello studio assistono pure i medici, i paramedici e gli enti ospedalieri nei processi che li vedono coinvolti.
Gli avvocati dello studio nello svolgimento della loro attività collaborano con esperti medici-legali e medici specialisti per la migliore elaborazione della strategia difensiva.
PER GLI ERRORI DI MALASANITÀ E PER IL RISARCIMENTO DANNI DA ERRORE MEDICO DEVO RIVOLGERMI AD UN AVVOCATO?
Si, con l’aiuto di un avvocato si deve rediggere e far pervenire un atto di citazione nei confronti del medico o nei confronti della struttura Sanitaria di cui il medico fa parte, onde ottenere l’integrale risarcimento dei danni subiti a seguito dell’intervento medico.
Non vi è dubbio che l’intervento normativo, se sottoposto a critica serrata, mostrerebbe molti aspetti critici. Si è in effetti in presenza, per quel che qui interessa, di una disciplina in più punti laconica, incompleta; che non corrisponde appieno alle istanze maturate nell’ambito del lungo dibattito dottrinale e della vivace, tormentata giurisprudenza in tema di responsabilità medica. E’ mancata l’occasione per una disciplina compiuta della relazione terapeutica e delle sue patologie. Tuttavia, piuttosto che attardarsi nelle censure, conviene tentare, costruttivamente, di cogliere e valorizzare il senso delle innovazioni.
Orbene, già ad una prima lettura risulta chiaro che due sono i tratti di nuova emersione. Da un lato la distinzione tra colpa lieve e colpa grave, per la prima volta normativamente introdotta nell’ambito della disciplina penale dell’imputazione soggettiva.
Dall’altro, la valorizzazione delle linee guida e delle virtuose pratiche terapeutiche, purchè corroborate dal sapere scientifico.
Si tratta di novità di non poco conto. La colpa penale, sia pure in un contesto limitato, assume ora una duplice configurazione. E d’altra parte viene abbozzato, in ambito applicativo, un indirizzo sia per il terapeuta che per il giudice, nel segno della documentata aderenza al più accreditato sapere scientifico e tecnologico.
Come si è accennato, tali nuovi tratti della disciplina legale non nascono dal nulla. Al contrario, essi germinano sul terreno di controverse letture della colpa professionale, maturate sia in ambito teorico che giurisprudenziale. Non meno importante, poi, è la temperie di politica del diritto che sta sullo sfondo: le istanze difensive della professione, le attese delle vittime, i problemi afferenti all’allocazione dei costi, il contemperamento tra esigenze terapeutiche e limitatezza dei bilanci pubblici.
Ne discende che, pur volendo porre le cose nel modo più semplice e breve, rifuggendo da inutili complicazioni, il senso della nuova disciplina sfuggirebbe se essa non fosse collocata in una prospettiva storica, particolarmente per ciò che attiene allo sviluppo della giurisprudenza in tema di colpa dell’esercente le professioni sanitarie. Tale pur sommaria analisi è funzionale alla complessiva lettura del sistema, alla comprensione dell’esatta portata della riforma ed all’armonizzazione del nuovo con il preesistente.
RISARCIMENTO MALASANITÁ: A CHI RIVOLGERSI
COME INTERVIENE SPECIFICATAMENTE AVVOCATO SERGIO ARMAROLI BOLOGNA LUGO RAVENNA CESENA FORLI TREVISO VICENZA IN CASO DI ERRORE MEDICO?
Risarcimento danno da errore medico
Se non riusciremo a raggiungere un accordo bonario, avvieremo il giudizio nei confronti della struttura ospedaliera e del personale che ha prestato l’attività sanitaria per ottenere il risarcimento da responsabilità medica che ti compete.
La prova della responsabilità dell’ ente o del medico
Ecco quali sono gli eventi più frequenti:
ANESTESIA
CHIRURGIA GENERALE
NEUROCHIRURGIA
ONCOLOGIA
ORTOPEDIA
OSTETRICIA E GINECOLOGIA
Quanto asserito in ordine alla responsabilità di natura contrattuale dell’ente, riveste notevole importanza relativamente al così detto onere della prova a carico del paziente di dimostrare la responsabilità dei sanitari in ordine al peggioramento delle proprie condizioni di salute. Ecco quali sono gli eventi più frequenti:
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ANESTESIA
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CHIRURGIA GENERALE
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NEUROCHIRURGIA
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ONCOLOGIA
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ORTOPEDIA
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OSTETRICIA E GINECOLOGIA
L’art.7 com.3 della Legge 24/2017 (Gelli-Bianco) prevede che il singolo medico risponderà del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 cc (responsabilità fatto illecito) salvo che abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente. I casi di responsabilità extracontrattuale ben potrebbero rinvenirsi per esempio negli interventi di urgenza o comunque in stato di incoscienza della vittima, ma anche nei confronti del medico di base, insomma dove manca il contratto con l’ospedale.
Quali sono le prove da fornire nei giudizi contro il medico?
In questo caso l’onere probatorio è più gravoso per il paziente che agisce in giudizio perché deve dimostrare:
– il danno subito;
– il nesso causale tra condotta del sanitario ed evento dannoso;
– la colpa o dolo del sanitario.
Al paziente spetterà soltanto l’onere di provare l’esistenza del contratto con il medico o del “contatto sociale” con l’ospedale, l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato (Cassazione 23562/11).
“In tema di colpa medica, in presenza di una condotta colposa posta in essere da un determinato soggetto, non può ritenersi interattiva del nesso di causalità (art. 41, comma secondo, cod. pen.) una successiva condotta parimenti colposa posta in essere da altro soggetto, quando essa non abbia le caratteristiche dell’assoluta imprevedibilità e inopinabilità; condizione, questa, che non può, in particolare configurarsi quando, nel caso di colpa medica, tale condotta sia consistita nell’inosservanza, da parte di soggetto successivamente intervenuto, di regole dell’arte medica già disattese da quello che lo aveva preceduto (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 6215 del 10/12/2009 Ud. (dep. 16/02/2010), Rv. 246421; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 9967 del 18/01/2010 Ud. (dep. 11/03/2010), Rv. 246797; Cass. Sez. 47 Sentenza n. 13939 del 30/01/2008 Ud. (dep. 03/04/2008), Rv. 239593; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 20272 del 16/05/2006 Ud. (dep. 14/06/2006), Rv. 234596). L’infondatezza del ricorso del P. impone, pertanto, il suo rigetto.
“In tema di colpa medica, in presenza di una condotta colposa posta in essere da un determinato soggetto, non può ritenersi interattiva del nesso di causalità (art. 41, comma secondo, cod. pen.) una successiva condotta parimenti colposa posta in essere da altro soggetto, quando essa non abbia le caratteristiche dell’assoluta imprevedibilità e inopinabilità; condizione, questa, che non può, in particolare configurarsi quando, nel caso di colpa medica, tale condotta sia consistita nell’inosservanza, da parte di soggetto successivamente intervenuto, di regole dell’arte medica già disattese da quello che lo aveva preceduto (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 6215 del 10/12/2009 Ud. (dep. 16/02/2010), Rv. 246421; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 9967 del 18/01/2010 Ud. (dep. 11/03/2010), Rv. 246797; Cass. Sez. 47 Sentenza n. 13939 del 30/01/2008 Ud. (dep. 03/04/2008), Rv. 239593; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 20272 del 16/05/2006 Ud. (dep. 14/06/2006), Rv. 234596). L’infondatezza del ricorso del P. impone, pertanto, il suo rigetto.
“Questa corte regolatrice ha difatti avuto modo di affermare (Cass. 21619/07; Cass. ss. uu. 576/2008 nonchè, nella sostanza, Cass. 4400/04) come la disomogenea morfologia e la disarmonica funzione del torto civile rispetto al reato consenta – e addirittura imponga – l’adozione di un diverso criterio di analisi della causalità materiale, quello, cioè, della probabilità relativa, criterio altrimenti definito del “più probabile che non”, rettamente inteso come analisi specifica e puntuale di tutte le risultanze probatorie del singolo processo – nella sua dimensione di “unicità” non ripetibile), della singola vicenda di danno, della singola condotta causalmente efficiente alla produzione dell’evento, tutte a loro volta permeate di una non ripetibile unicità (di talché la conseguente svalutazione della regola statistica e sovente di quella scientifica non appare un metagiuridico cedimento ad ideali aneliti riparatori cui dar respiro tout court in seno al processo, quanto piuttosto una attenta valorizzazione e valutazione della specificità del caso concreto, onde la concorrenza di cause di diversa incidenza probabilistica non conduca ipso facto alla aberrante regola del 50% plus unum, bensì alla compiuta valutazione dell’evidenza del probabile (così, esemplificando, se, in tema di danni da trasfusione di sangue infetto, le possibili concause appaiono plurime e quantificabili in misura di dieci, ciascuna con un’incidenza probabilistica pari al 3%, mentre la trasfusione attinge al grado di probabilità pari al 40%, non per questo la domanda risarcitoria sarà per ciò solo rigettata – o geneticamente trasmutata in risarcimento da chance perduta -, dovendo viceversa il giudice, secondo il suo prudente apprezzamento che trova la sua fonte nella disposizione di legge di cui all’art. 116 c.p.c., valutare la complessiva evidenza probatoria del caso concreto e addivenire, all’esito di tale giudizio comparativo, alla più corretta delle soluzioni possibili, pur nella non confortante consapevolezza della natura di malinconico ossimoro del sintagma “accertamento del nesso causale”, la cui “incertezza” trova una assai felice rappresentazione nel verso virgiliano felix qui potuit rerum cognoscere causa…)”
Cass. III, 21 luglio 2011, n. 15991
Ti senti vittima di un errore medico per un intervento chirurgico sbagliato o hai subito un danno per negligenza medica? Hai il diritto e anche il dovere di segnalarlo, per evitare che casi analoghi si ripetano.
COME INTERVIENE SPECIFICATAMENTE AVVOCATO SERGIO ARMAROLI BOLOGNA LUGO RAVENNA CESENA FORLI TREVISO VICENZA IN CASO DI ERRORE MEDICO?
Analizza in via preliminare le eventuali responsabilità dei singoli medici e sanitari, oltre che delle stesse strutture ospedaliere per capire se trattasi di episodi di malasanità;
interviene direttamente, qualora sussistano i presupposti, con la richiesta risarcitoria per malasanità nei confronti dei responsabili.
Il risarcimento per malasanità trova accoglimento quando:
Si accerta un errore medico
L’errore medico ha causato un danno
Il danno ha causato danni gravi e/o permanenti al paziente
Questi elementi vanno comprovati e dimostrati, e quindi rivolgersi a un qualsiasi avvocato può rivelarsi un errore: meglio farsi assistere da uno studio legale preparato a seguire casi di malasanità,
Qui di seguito trovi solo alcuni dei casi, individuati per area medica, per cui è possibile intentare una causa e per cui rivolgerti all’avvocato esperto in responsabilità medica dell’avvocato Sergio Armaroli .
Per altre esigenze relative a risarcimenti per errore medico e danni da malasanità, Anestesia: morte sopraggiunta nel corso dell’anestesia lesioni dovute all’intubazione
GINECOLOGIA Danni alla madre durante il parto.
Diagnosi errate per malattie ginecologiche.
Distocia della spalla.
Errate terapie per la cura della infertilità.
Erronea diagnosi prenatale.
Fratture della clavicola.
Ipossia del bambino al momento del parto.
Lesioni del plesso brachiale.
Mancata effettuazione di manovre rianimatorie sul bambino.
Mancata diagnosi di malformazioni fetali durante l’esecuzione di ecografie in epoca prenatale in tempo utile per effettuare l’interruzione di gravidanza.
Chirurgia: errata esecuzione dell’intervento inefficacia dell’intervento comunicazioni incomplete sul consenso informato scarsa assistenza post-operatoria esecuzione di interventi inadeguati errata o mancata diagnosi patologica Gli errori più frequenti in tale ambito sono:
• Errata esecuzione di interventi chirurgici.
• Aderenze post-operatorie.
• Emboli, tromboembolie per mancata terapia anticoagulante.
• Errato approccio terapeutico alla patologia con esecuzioni di interventi non necessari alla risoluzione del problema.
• Garze e ferri chirurgici dimenticati in corpo dopo gli interventi.
• Infezioni post-operatorie.
• Lesioni di nervi, vasi, organi adiacenti, durante interventi chirurgici.
• Mancata diagnosi di patologie.
• Mancata informazione o mancata acquisizione del consenso informato.
• Mancata risoluzione del problema per il quale è stato programmato l’intervento.
• Scarsa assistenza nel post-operatorio.
• Suture (abnormi, tolte troppo precocemente).
• Lesioni durante le intubazioni oro-tracheali.
Chirurgia Estetica: errata esecuzione dell’intervento
Medicina Interna: errata o mancata diagnosi patologica errato approccio terapeutico
Oculistica: infezioni contratte durante gli interventi errata esecuzione di interventi di cataratta e di correzione laser della miopia Infezioni durante l’esecuzione di interventi.
Errata esecuzione di interventi di cataratta e di correzione laser della miopia.
Errata esecuzione di iniezioni intravitreali.
Colpevole ritardo nel trattamento di patologie oculari.
Omessa prescrizione di controlli in fase post-operatoria
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Odontoiatria: mancato raggiungimento dei risultati sperati
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Oncologia:
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Interventi incompleti, che rendono necessari nuovi interventi chirurgici.
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Perdita di chance di guarigione o di sopravvivenza per omessa o ritardata diagnosi.
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Prescrizione di accertamenti non idonei.
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Radio e chemioterapia effettuata con ritardo o in dosi non adatte.
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Ritardo nella diagnosi o nell’esecuzione delle terapie di trattamento.
ritardata dei tumori trattamento tumorale ritardato Interventi eccessivamente demolitivi rispetto alla diagnosi.
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Ortopedia:
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Infezione ospedaliera ed emorragie post-operatorie.
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Inserimento di protesi di dimensioni errate.
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Lesioni alle terminazioni nervose o al nervo motorio durante le operazioni all’ernia del disco.
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Lesioni al midollo spinale dovute alla non immobilizzazione della colonna vertebrale dopo una caduta.
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Mancato recupero della gamba per un intervento errato sui legamenti.
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Mancato riconoscimento di fratture.
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Presenza di infezioni nosocomiali dovute alla mancata sterilizzazione dei ferri di sala operatoria o scarsa igiene delle sale.
diagnosi presso il Pronto Soccorso , errata esecuzione dell’intervento per la sintesi delle fratture, sopraggiungere di infezioni nosocomiali, mancata diagnosi dell’infarto del miocardio, errato approccio terapeutico per le fratture,
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Responsabilità della Struttura Ospedaliera Errata esecuzione di interventi chirurgici per la sintesi delle fratture.
La storia della responsabilità medica appare complessa, sfumata e ricca di insegnamenti. Essa costituisce, tra l’altro, il topos per lo studio della colpa grave ora normativamente introdotta nell’ordinamento penale. La più antica giurisprudenza di legittimità in tema di colpa nell’esercizio della professione medica si caratterizza per la particolare larghezza: si afferma che la responsabilità penale può configurarsi solo nei casi di colpa grave e cioè di macroscopica violazione delle più elementari regole dell’arte.
Nelle pronunzie risalenti si legge che la malattia può manifestarsi talvolta in modo non chiaro, con sintomi equivoci che possono determinare un errore di apprezzamento, e che sovente non esistono criteri diagnostici e di cura sicuri.
La colpa grave rilevante nell’ambito della professione medica si riscontra nell’errore inescusabile, che trova origine o nella mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione o nel difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica nell’uso dei mezzi manuali o strumentali adoperati nell’atto operatorio e che il medico deve essere sicuro di poter gestire correttamente o, infine, nella mancanza di prudenza o di diligenza, che non devono mai difettare in chi esercita la professione sanitaria.
Dovendo la colpa del medico essere valutata dal giudice con larghezza di vedute e comprensione, sia perchè la scienza medica non determina in ordine allo stesso male un unico criterio tassativo di cure, sia perchè nell’arte medica l’errore di apprezzamento è sempre possibile, l’esclusione della colpa professionale trova un limite nella condotta del professionista incompatibile col minimo di cultura e di esperienza che deve legittimamente pretendersi da chi sia abilitato all’esercizio della professione medica. Insomma, in questa ormai remota giurisprudenza l’esclusione della colpa è la regola e l’imputazione colposa è l’eccezione che si configura solo nelle situazioni più plateali ed estreme.
· COME POSSO RICHIEDERE LA CARTELLA CLINICA?
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· COME DOVETE FARE PER OTTENERE LA CARTELLA CLINICA DALL’OSPEDALE ?
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· La cartella clinica è composta dai documenti che registrano le informazioni sanitarie del paziente; il malato ha diritto a vedere la propria cartella clinica e richiederne una copia una volta dimesso facendone richiesta alla direzione sanitaria dell’ospedale. I tempi per averla sono in genere 20-30 giorni dalla richiesta alla struttura ospedaliera che sarà fatta compilando una domanda scritta
· RISARCIMENTO MALASANITA’ BOLOGNA RAVENNA FAENZA FORLI CESENA
Avviare un’azione di risarcimento del danno per responsabilità medica , prevede vari step.
Il primo step è quello di mettere insieme tutta la documentazione medica relativa al caso del paziente.
Successivamente, riscontrato l’ esito negativo per il paziente e talune criticità nel comportamento di medico o struttura sanitaria, si procede con l’invio di una diffida stragiudiziale da parte del legale, dove si espongono i profili di responsabilità rinvenuti nella condotta della struttura sanitaria.
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Consenso informato
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Scarsa assistenza post-operatoria
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Errata o tardiva diagnosi malattie oncologiche
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Interventi chirurgici eccessivamente invasivi o non necessari
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Interventi chirurgici inefficaci perché non completi
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Terapie oncologiche (chemioterapie, radioterapie, ecc) inadatte
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Lesioni colpose di organi, terminazioni nervose, legamenti in corso di intervento
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Suturazioni errate
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Lesioni causate da intubazione oro-tracheale
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Errori in fase di anestesia con lesioni cerebrali o decesso del paziente
Embolie, trombo embolie, infarti in sala operatoria
Infezioni per cattiva cura post operatoria
Il secondo step avviene in caso di mancato riscontro della struttura nel termine indicato e dal punto di vista procedurale il cliente ha a disposizione due alternative: il deposito di un ricorso per Accertamento tecnico preventivo (Atp) ex art. 696 bis C.p.c. o l’instaurazione di un giudizio di merito.
La riforma Gelli, operata con la Legge numero 24 dell’8 marzo 2017, ha completamente riformato la disciplina della responsabilità professionale in ambito medico. Sono stati in primo luogo modificati i profili di responsabilità penale del medico, non più evitabili nella circostanza in cui i medici dimostrino solo “di essersi attenuti alle linee guida” dell’istituto superiore della sanità. Per quanto attiene alla responsabilità civile e risarcitoria in ambito sanitario, la riforma ha scisso la responsabilità della struttura sanitaria da quella del medico o del professionista.
In caso di negligenza del professionista, attività preliminare dello Studio è quella di acquisire una relazione medico-legale, necessaria al fine di chiarire se le lesioni subite dal paziente siano state causate dal comportamento negligente o imprudente del medico.
Una volta ottenuta detta relazione, lo Studio provvede a inoltrare formale richiesta di risarcimento danni direttamente al medico, all’Ospedale, alla Clinica privata o eventualmente al Ministero della Salute.
PRONTO SOCCORSO ERRORI:
Altre ipotesi comuni di diagnosi errata nel pronto soccorso riguardano:
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attese eccessive
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errori nella diagnosi
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errori nel trattamento
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condizioni antigieniche
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strumenti diagnostici inadeguati
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defibrillatore non funzionante
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ritardi nel trasporto con ambulanza
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dimissioni precoci
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mancanza di mezzi e di attrezzature
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Ictus
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Volvolo intestinale
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Dissezione aortica
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Aneurisma dell’aorta addominale
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Ascesso spinale epidurale
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Appendicite
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INFARTO
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MANCATA ATTENZIONE PAZIENTE
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MANCATA ACCURATA VISITA PAZIENTE
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Meningite
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Torsione testicolare
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Intussuscezione
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Errori nell’uso di farmaci: farmaci sbagliati possono essere somministrati a causa di cattiva calligrafia, difetti di comunicazione ecc.
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Errori chirurgici: gli errori nella chirurgia possono verificarsi in tutti i tipi di intervento chirurgico e consistere in errori di esecuzione, intervento sulla parte del corpo sbagliata, intervento sul paziente sbagliato, ritenzioni di strumenti chirurgici nel sito dell’intervento ecc.
Accertamento tecnico preventivo
Ai sensi della nuova disposizione dell’art. 8 della Legge numero 24 dell’8 marzo 2017 (c.d. “LEGGE GELLI”), per instaurare un giudizio risarcitorio in tema di responsabilità medica, è necessario depositare un ricorso ex art. 696-bis c.p.c. al fine di ottenere una Consulenza Tecnica preventiva finalizzata alla composizione della lite.
In alternativa potrà essere instaurato, ai sensi della medesima nuova Legge, un procedimento di mediazione ex art. 5, comma 1-bis del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, ossia il procedimento di mediazione di cui sopra.
Avvocato Sergio Armaroli assiste con successo vittime di casi di malasanità, operando attraverso la nostra rete di medici legali e consulenti medici specialistici, in collaborazione con oltre 20 domiciliatari in tutta Italia per essere vicino a coloro che soffrono in ragione di un errore medico.
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Tutela del paziente
• Responsabilità del medico
• Responsabilità dell’equipe medica
• Consenso informato
• Corretta redazione delle cartelle cliniche
• Errori diagnostici e terapeutici
L’errore nella fase diagnostica si distingue dal precedente in quanto il medico, pur avendo eseguito tutti gli accertamenti diagnostici richiesti dall’arte medica e dalle linee guida, formula una diagnosi del tutto incoerente ed incompatibile con i dati diagnostici.
L’errore nella fase terapeutica consiste nella scelta di un’errata terapia o trattamento, come ad es. una terapia farmacologica o ad un trattamento radioterapico inappropriato, o nell’errata scelta o esecuzione di un intervento chirurgico.
Ed ancora, in caso di precoci dimissioni, di carente assistenza post-operatoria, in caso di omissione e/o vizio del consenso informato all’operazione, ecc.
AVVOCATO MALASANITA’ BOLOGNA RIMINI RAVENNA FORLI PADOVA ROVIGO tu o un tuo caro avete subito un danno a causa della negligenza altrui, i nostri avvocati possono assistervi nel presentare la relativa richiesta di risarcimento. L’assistenza fornita dall’avvocato Sergio Armaroili consta nelle seguenti attività:
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Esaminare le informazioni e la documentazione fornite loro al fine di stabilire se siano presenti i presupposti per far risarcire i danneggiato
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Suggerire al danneggiato di produrre ulteriore documentazione o individuare testimoni
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Determinare la quantificazione dei danni subiti
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Individuare i potenziali responsabili
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Illustrare al cliente quali siano i suoi diritti e quali siano le opzioni legali più veloci e meno rischiose per esercitarli al fine di ottenere il risarcimento
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Assistere il danneggiato nell’ambito delle azioni legali scelte
La Responsabilità del medico è fondata sugli stessi principi giuridici penali e civili che regolano la responsabilità per colpa connessa all’esercizio di qualsiasi attività professionale, ossia l’art. 43 c.p., gli artt. 1176, 2236 c.c.
Chi mi può aiutare ad intentare una causa di malasanità?
Quali sono i tempi per fare una denuncia di malasanità?
AVVOCATO MALASANITA’ BOLOGNA RIMINI RAVENNA FORLI PADOVA ROVIGO OTTIENI RISOLVI PRETENDI!! tu o un tuo caro avete subito un danno a causa della negligenza altrui, i nostri avvocati possono assistervi nel presentare la relativa richiesta di risarcimento. L’assistenza fornita dai nostri avvocati consta nelle seguenti
Il rapporto che intercorre tra medico e paziente è a tutti gli effetti un contratto.
ad esso, pertanto, va applicata la disciplina sul rapporto contrattuale di modo che ai sensi dell’art. 1218 c.c., “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
Per i casi di malasanità od inadempimento dell’obbligazione gravante sul professionista (il medico) e sulla struttura sanitaria, possono, a seconda delle circostanze, configurarsi delle ipotesi di risarcimento del cosiddetto “danno da morte” o da inabilità, sia per il paziente che per i prossimi congiunti dello stesso. Ancora, il giudice può prevedere la liquidazione del cosiddetto danno esistenziale per il caso in cui vengano frustrate alcune aspettative sostanziali relative alla vita del paziente.
Costituisce infatti ius receptum, nella giurisprudenza della suprema Corte, il principio secondo il quale, anche alla luce della novella del 2006, il controllo del giudice di legittimita’ sui vizi della motivazione attiene pur sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l’oggettiva “tenuta”, sotto il profilo logico-argomentativo, e quindi l’accettabilita’ razionale, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass., Sez. 3, n. 37006 del 27 -9-2006, Piras, Rv. 235508; Sez. 6, n. 23528 del 6-62006, Bonifazi, Rv. 234155). Ne deriva che il giudice di legittimita’, nel momento del controllo della motivazione, non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti ne’ deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita’ di apprezzamento, atteso che l’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non consente alla Corte di cassazione una diversa interpretazione delle prove. In altri termini, il giudice di legittimita’, che e’ giudice della motivazione e dell’osservanza della legge, non puo’ divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio. Questo controllo e’ riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l’apprezzamento della logicita’ della motivazione (ex plurimis, Cass., Sez. 3, n. 8570 del 14-1-2003, Rv. 223469; Sez. fer., n. 36227 del 3-9-2004, Rinaldi; Sez. 5, n. 32688 del 5-7-2004, Scarcella; Sez. 5, n.22771 del 15-4-2004, Antonelli).
AVVOCATO MALASANITA’ BOLOGNA RIMINI RAVENNA FORLI PADOVA ROVIGO tu o un tuo caro avete subito un danno a causa della negligenza altrui, i nostri avvocati possono assistervi nel presentare la relativa richiesta di risarcimento. L’assistenza fornita dai nostri avvocati consta nelle seguenti
Nel 2012 entro’ in vigore il decreto-legge 13 settembre 2012 n. 158, convertito in legge 8 novembre 2012 n. 189 (cosiddetta legge Balduzzi), il quale all’articolo 3, comma 1, recitava: “L’esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attivita’, si attiene alle linee-guida e buone pratiche accreditate dalla comunita’ scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi, resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 c.c.. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”. E’ poi, di recente, entrata in vigore la L. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), la quale, all’articolo 6, ha abrogato il predetto Decreto Legge n. 158 del 2012, articolo 3 e ha dettato l’articolo 590 sexies c.p., attualmente vigente. Nel caso di specie, va esclusa l’applicabilita’ sia del Decreto Legge n. 158 del 2012, articolo 3, comma 1, che dell’articolo 590 sexies c.p.. Per quanto riguarda quest’ultima norma, va, infatti, rilevato come il tenore testuale dell’articolo 590 sexies, introdotto dalla L. n. 24 del 2017, nella parte in cui fa riferimento alle linee-guida, sia assolutamente inequivoco nel subordinare l’operativita’ della disposizione all’emanazione di linee-guida “come definite e pubblicate ai sensi di legge”. La norma richiama dunque la L. n. 24 del 2017, articolo 5, che detta, come e’ noto, un articolato iter di elaborazione e di emanazione delle linee- guida. Dunque, in mancanza di linee-guida approvate ed emanate mediante il procedimento di cui alla L. n 24 del 2017, articolo 5, non puo’ farsi riferimento all’articolo 590 sexies c.p., se non nella parte in cui questa norma richiama le buone pratiche clinico-assistenziali, rimanendo, naturalmente, ferma la possibilita’ di trarre utili indicazioni di carattere ermeneutico dall’articolo 590 sexies c.p., che, a regime, quando verranno emanate le linee-guida con il procedimento di cui all’articolo 5, costituira’ il fulcro dell’architettura normativa e concettuale in tema di responsabilita’ penale del medico. Ne deriva che la possibilita’ di riservare uno spazio applicativo nell’attuale panorama fenomenologico all’articolo 590 sexies c.p. e’ ancorata all’opzione ermeneutica consistente nel ritenere che le linee-guida attualmente vigenti, non approvate secondo il procedimento di cui alla L. n. 24 del 2017, articolo 5, possano venire in rilievo, nella prospettiva delineata dalla norma in esame, come buone pratiche clinico-assistenziali. Opzione ermeneutica non agevole ove si consideri che le linee guida differiscono notevolmente, sotto il profilo concettuale, prima ancora che tecnico-operativo, dalle buone pratiche clinico – assistenziali, sostanziandosi in raccomandazioni di comportamento clinico sviluppate attraverso un processo sistematico di elaborazione concettuale, volto a offrire indicazioni utili ai medici nel decidere quale sia il percorso diagnostico-terapeutico piu’ appropriato in specifiche circostanze cliniche (Cass., Sez. 4, n. 18430 del 5-11-2013, Rv. 261293). Esse consistono dunque nell’indicazione di standards diagnostico-terapeutici conformi alle regole dettate dalla migliore scienza medica, a garanzia della salute del paziente (Cass., n. 11493 del 24-12013; Cass., n. 7951 dell’8-10-2013, Rv. 259334) e costituiscono il condensato delle acquisizioni scientifiche, tecnologiche e metodologiche concernenti i singoli ambiti operativi (Sez. U., n. 29 del 21-12-2017): e quindi qualcosa di molto diverso da una semplice buona pratica clinico-asssitenziale. Ma anche se volesse accedersi alla tesi, pur non esente da profili di problematicita’, dell’equiparazione delle linee- guida attualmente vigenti – non approvate ed emanate attraverso il procedimento di cui alla L. n. 24 del 2017, articolo 5 – alle buone pratiche clinico-assistenziali, previste dall’articolo 590 sexies c.p., aprendo cosi’ la strada ad un’immediata operativita’ dei principi dettati da quest’ultima norma, rimarrebbe insuperabile il rilievo secondo cui essa esclude la punibilita’ soltanto laddove siano state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida oppure le buone pratiche clinico- assistenziali. E abbiamo poc’anzi visto invece come, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, esse non siano state affatto rispettate, poiche’ i giudici di merito hanno accertato profili di imperizia, consistenti nella mancata posizione in diagnosi differenziale della dissezione dell’aorta e nell’errata formulazione della diagnosi di sindrome coronarica acuta, nonostante gli esiti delle analisi, per nulla dirimenti. Hanno poi accertato profili di negligenza, consistenti nella omessa esecuzione degli esami indicati dalle linee guida; nella omessa visione diretta delle lastre della radiografia toracica, dimostrative dello sbandamento dell’aorta, e nella omessa esecuzione di una ECO completa, per esaminare la parte superiore del cuore, l’origine dell’aorta e i tronchi sovraortici. Vengono dunque a mancare due dei presupposti fondamentali per l’applicabilita’ dell’articolo 590 sexies c.p. e cioe’ il rispetto delle raccomandazioni previste dalle linee guida e la ravvisabilita’ in via esclusiva di imperizia e non anche di negligenza. Per le stesse ragioni non puo’ trovare applicazione neanche il Decreto Legge n. 158 del 2012, articolo 3; non potendosi ritenere che il (OMISSIS) si sia attenuto alle linee-guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunita’ scientifica.
L’importanza della ricostruzione degli anelli determinanti della sequenza eziologica e’ stata sottolineata, in giurisprudenza, laddove si e’ affermato che, al fine di stabilire se sussista o meno il nesso di condizionamento tra la condotta del medico e l’evento lesivo, non si puo’ prescindere dall’individuazione di tutti gli elementi rilevanti in ordine alla “causa” dell’evento stesso, giacche’ solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici la scaturigine e il decorso della malattia e’ possibile analizzare la condotta omissiva colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale, avvalendosi delle leggi scientifiche e/o delle massime di esperienza che si attaglino al caso concreto (Cass., Sez. 4, 25.5.2005, Lucarelli). E, al riguardo,le Sezioni unite, con impostazione sostanzialmente confermata dalla giurisprudenza successiva, hanno ribadito la perdurante validita’ del plesso concettuale costituito dalla teoria condizionalistica e dalla teoria della causalita’ umana, quanto alle serie causali sopravvenute, ex articolo 41 c.p., comma 2, con l’integrazione del criterio della sussunzione sotto leggi scientifiche. Secondo il predetto criterio, un antecedente puo’ essere configurato come condizione necessaria solo se esso rientri nel novero di quelli che, sulla base di una successione regolare conforme ad una generalizzata regola di esperienza o ad una legge dotata di validita’ scientifica – “legge di copertura “-, frutto della migliore scienza ed esperienza del momento storico, conducono ad eventi “del tipo” di quello verificatosi in concreto (Sez. U., 10 – 7- 2002, Franzese). Ad ogni spiegazione causale e’, dunque, in linea di massima, coessenziale il riferimento ad una legge idonea ad istituire una correlazione fra l’accadimento di cui si cerca la spiegazione e determinati antecedenti fattuali. In assenza di tale legge, e’ difficile che i fatti, in se’ considerati, forniscano una spiegazione, anche se non sembra da escludersi la possibilita’ di giungere all’enucleazione, in senso positivo o negativo, del nesso di condizionamento attraverso un procedimento di natura induttiva fondato sulla rilevazione di tutte le emergenze del caso concreto, laddove il sapere scientifico ed esperienziale, pur fornendo una serie di metodologie di indagine e di elementi di giudizio, non fornisca parametri nomologici cui correlare la verifica condizionalistica. Ma non appare revocabile in dubbio che, in linea di principio, nella ricerca del nesso di condizionalita’ necessaria, il riferimento ad una legge – o comunque ad un parametro nomologico, di matrice scientifica o esperienziale – sia fondamentale. Una legge e’ un enunciato generalizzante, asserente una successione regolare di eventi e percio’ idoneo a rendere intelligibile un accadimento del passato ed a consentire previsioni su accadimenti del futuro. La spiegazione di un evento si svolge, percio’, in quest’ottica, secondo un ben preciso schema: cio’ che deve essere spiegato (explanandum: ad esempio, la morte di Tizio) viene inferito’ da un insieme di premesse (explanans) costituite da enunciati relativi alle condizioni empiriche antecedenti di rilievo (ad esempio, Caio ha sparato a Tizio, colpendolo al cuore) e da generalizzazioni asserenti delle regolarita’ (se un proiettile attinge il cuore di un uomo, questi muore). Dunque lâââEurošÂ¬Ã‹Å”explanandum viene reso intelligibile mediante la connessione ad un complesso di condizioni empiriche antecedenti, sulla base delle leggi incluse nell’explanans. E’ questa la c.d. nozione nomologico-funzionale di causa, prevalente nel pensiero scientifico moderno, secondo la quale il “perche'” di un evento risulta identificato con un insieme di condizioni empiriche antecedenti, contigue nello spazio e continue nel tempo, dalle quali dipende il susseguirsi dell’evento stesso, secondo un’uniformita’ regolare, rilevata in precedenza ed enunciata in una legge.
AVVOCATO MALASANITA’ BOLOGNA RIMINI RAVENNA FORLI PADOVA ROVIGO tu o un tuo caro avete subito un danno a causa della negligenza altrui, i nostri avvocati possono assistervi nel presentare la relativa richiesta di risarcimento. L’assistenza fornita dai nostri avvocati consta nelle seguenti
Ma da dove provengono le leggi utilizzabili dal giudice- Le fonti non possono che essere due: la scienza e l’esperienza. Esula dalla presente trattazione l’analisi del problema dell’utilizzabilita’ delle leggi di matrice esperienziale. Ci soffermeremo invece sulle leggi scientifiche, che vengono in rilievo nell’ottica della regiudicanda sub iudice.
Cos’e’ una legge scientifica – A quali condizioni puo’ dirsi che un enunciato abbia valenza di legge scientifica- Su questo tema si registra una sostanziale convergenza del pensiero scientifico ed epistemologico nell’enucleazione dei seguenti requisiti: la generalita’; la controllabilita’; il grado di conferma; l’accettazione da parte della comunita’ scientifica internazionale.
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A) E’, in primo luogo, necessario che la legge soddisfi il requisito della generalita’: occorre infatti che i casi osservati non coincidano con il campo di applicazione della legge. Ad esempio, l’asserto secondo il quale se si conficca un pugnale nel cuore di un essere umano, questi muore, ha una portata generale perche’, pur essendo vero che il numero di esempi finora osservati di pugnali conficcati in cuori umani e’ finito, esiste un’infinita’ di esempi possibili. Se un’asserzione non affermasse nulla di piu’ di quanto venga affermato dalle sue prove, sarebbe assurdo adoperarla per spiegare o per predire qualcosa che non sia gia’ contenuto nelle prove medesime.
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B) La controllabilita’. E’ coessenziale alla nozione di scientificita’ la possibilita’ di assoggettare la teoria a controllo empirico e, pertanto, di valutarla alla luce dei controlli osservativi e sperimentali. Una teoria risulta soddisfacente di fatto (e non solo potenzialmente) se supera i controlli piu’ severi: specialmente quelli che possono essere ritenuti cruciali ancor prima di venire esperiti. Tuttavia, per quante conferme una teoria possa avere avuto, essa non e’ mai certa, in quanto un controllo successivo puo’ sempre smentirla. Miliardi di conferme non rendono certa una teoria (ad esempio, tutti’i pezzi di legno galleggiano in acqua) mentre un solo fatto negativo (questo pezzo di ebano non galleggia), dal punto di vista logico, la falsifica. Di qui il celebre criterio della falsificabilita’ elaborato nel pensiero epistemologico moderno, secondo cui un sistema teorico e’ scientifico solo se puo’ risultare in conflitto con certi dati dell’esperienza. E’ la caratteristica logica di essere deduttivamente falsificabili che contraddistingue le teorie scientifiche. Le teorie pseudo-scientifiche, come l’astrologia, fanno talvolta predizioni corrette ma sono formulate in un modo tale da essere in grado di sottrarsi ad ogni falsificazione e percio’ non sono scientifiche. Va da se’ che ove un’affermazione scientifica si imbatta in un singolo caso falsificante, essa deve essere immediatamente respinta. La controllabilita’ coincide con la falsificabilita’ e cioe’ con la smentibilita’. Non esiste quindi alcun processo induttivo mediante cui le teorie scientifiche siano confermate. Noi possiamo controllare la validita’ delle teorie scientifiche esclusivamente deducendone conseguenze e respingendo quelle teorie che implicano una singola conseguenza falsa.
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C) Grado di conferma di una teoria scientifica. Strettamente connesso alla nozione di controllabilita’ e’ il concetto di grado di conferma o di corroborazione di una teoria. Per grado di corroborazione di una teoria e’ da intendersi, in quest’ottica, un resoconto valutativo dello stato – ad un determinato momento storico – della discussione critica di una teoria, relativamente al suo grado di controllabilita’, alla severita’ dei controlli cui e’ stata sottoposta e al modo in cui li ha superati. In sintesi, una valutazione globale del modo in cui una teoria ha retto, fino ad un certo momento della sua discussione critica, ai controlli empirici cui e’ stata sottoposta; e una valutazione dei risultati dei detti controlli empirici. E’ pertanto possibile parlare esclusivamente di grado di corroborazione di una teoria ad un determinato momento della sua discussione critica e non in assoluto. Al riguardo, anche dalla giurisprudenza d’oltre oceano (sentenza della Corte Suprema degli Stati uniti 28 giugno 1993, pronunziata nel caso Daubert v. Merrel Dow Pharmaceuticals Inc., che ha analizzato il problema degli effetti teratogeni di un farmaco antinausea, il Bendectin) provengono indicazioni interessanti. La sentenza Daubert indica infatti i seguenti. criteri di affidabilita’ delle teorie scientifiche:
1) Verificabilita’ del metodo. Il primo carattere che la conoscenza scientifica deve possedere e’ quello della verificabilita’: una teoria e’ scientifica se puo’ essere controllata mediante esperimenti.
2) Falsificabilita’. Il secondo criterio richiede che la teoria scientifica sia sottoposta a tentativi di falsificazione, i quali, se hanno esito negativo, la confermano nella sua credibilita’.
3) Conoscenza del tasso di errore. Occorre che al giudice sia resa nota, per ogni metodo proposto, la percentuale di errore accertato o potenziale che questo comporta.
In questa prospettiva, si e’ evidenziato, in giurisprudenza, che la legge causale scientifica puo’ considerarsi tale soltanto dopo essere stata sottoposta a ripetuti, superati tentativi di falsificazione e dopo avere avuto ripetute conferme, donde, appunto, l'”alto grado di conferma” che la contraddistingue e donde la “fiducia” che non puo’ non esserle riservata. La certezza che essa esprime viene connotata con le formule “alto grado di probabilita’ “, “alto grado di credibilita’ razionale “, “alto grado di conferma”, proprio perche’ non e’ un valore assoluto, non e’ un’acquisizione irreversibile, poiche’ e’ certezza “allo stato” ma – va aggiunto-allo stato e’ certezza e non probabilita’ (Cass., Sez. 4, 25 novembre 2004, Nobili).
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D) Il requisito piu’ pregnante, nell’ottica della giurisprudenza di legittimita’, pero’ quello della diffusa accettazione in seno alla comunita’ scientifica internazionale. La rilevanza di questo requisito e’ tale da segnare il discrimine tra affermazione e negazione del nesso di causalita’. Incertezza scientifica significa mancanza di accettazione da parte della generalita’ della comunita’ scientifica della validazione di un’ipotesi. E da tale incertezza non puo’ che conseguire l’assoluzione dell’imputato perche’ in questi casi non puo’ ritenersi realizzata l’evidenza probatoria in ordine all’effettiva efficacia condizionante della condotta. Il giudice e’, pertanto, tenuto ad accertare se gli enunciati che vengono proposti trovino comune accettazione nell’ambito della comunita’ scientifica (Cass., Sez. 4, n. 43796 del 17-9-2010, Rv.248943), esaminando le basi fattuali sulle quali le argomentazioni del perito sono state condotte; l’ampiezza, la rigorosita’ e l’oggettivita’ della ricerca; l’attitudine esplicativa dell’elaborazione teorica nonche’ il grado di consenso che le tesi sostenute dall’esperto raccolgono nell’ambito della comunita’ scientifica (Cass., Sez. 4, n. 18678 del 14-3-2012, Rv. 252621). Rimane, pero’, fermo che, ai fini della ricostruzione del nesso causale, e’ utilizzabile anche una legge scientifica.che non sia unanimemente riconosciuta,. essendo sufficiente il ricorso alle acquisizioni maggiormente accolte o generalmente condivise, attesa la diffusa consapevolezza della relativita’ e mutabilita’ delle conoscenze scientifiche (Sez. U., 25-1-2005, Rv. 230317; Cass., Sez. 4, n. 36280 del 21-6-2012, Rv. 253565). Di tale indagine il giudice e’ chiamato a dar conto in motivazione, esplicitando le informazioni scientifiche disponibili e utilizzate e fornendo una razionale giustificazione, in modo completo e, il piu’ possibile, comprensibile a tutti, dell’apprezzamento compiuto. Si tratta di accertamenti’e valutazioni di fattd, insindacabili in cassazione, ove sorretti tia congrua motivazione, poiche’ il giudizio di legittimita’ non puo’ che incentrarsi esclusivamente sulla razionalita’, completezza e rigore metodologico del predetto apprezzamento. Il giudice di legittimita’, infatti, non e’ giudice del sapere scientifico e non detiene proprie conoscenze privilegiate (Cass., Sez. 4, n. 1826 del 19-10-2017), di talche’ esso non puo’, ad esempio, essere chiamato a decidere se una legge scientifica, di cui si postuli l’utilizzabilita’ nell’inferenza probatoria, sia o meno fondata (Cass., Sez. 4, n. 43786 del 17-9-2010). La Corte di cassazione ha invece il compito di valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare e indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilita’ delle informazioni che utilizza ai fini della spiegazione del fatto (Cass., Sez. 4, n. 42128 del 30-9-2008).
Questa impostazione e’ coerente con gli approdi della piu’ avveduta giurisprudenza sull’argomento. Si e’ poc’anzi analizzata la sentenza Daubert. Orbene, questa sentenza addita espressamente all’interprete l’importanza del requisito della sottoposizione al controllo della comunita’ scientifica internazionale, mediante la pubblicazione sulle piu’ diffuse riviste specializzate, e della generale accettazione in seno alla comunita’ degli esperti. E’ vero che la sentenza Daubert attribuisce a tale requisito un carattere ausiliario ma non indispensabile, affermando che una valutazione di affidabilita’ ammette ma non richiede l’esplicita identificazione di una comunita’ scientifica rilevante e una espressa definizione di un particolare grado di accettazione all’interno di quella comunita’. Ma rimane comunque fermo che, nella prospettiva delineata da questa sentenza, l’accettazione diffusa puo’ essere un fattore importante per stabilire l’ammissibilita’ di una particolare prova mentre una tecnica che e’ stata in grado di ottenere soltanto un consenso sporadico nella comunita’ scientifica puo’ essere vista con scetticismo. Del resto, il criterio in disamina era stato accolto dalla giurisprudenza nordamericana fin dal 1923, con la sentenza Frye, secondo la quale una prova scientifica puo’ essere ammessa soltanto quando sia fondata su un principio o una scoperta sufficientemente stabile, si’ da aver ricevuto generale accettazione nell’ambito di ricerca al quale attiene.. Del resto, non esistendo, fra gli epistemologi, un accordo sull’esistenza di un unico metodo scientifico e proponendo la “corrente metodologia” metodi di ricerca diversi e fra loro in contrasto, l’esigenza di assicurare al massimo grado la certezza richiesta dal diritto impone al giudice di considerare affidabili solo teorie scientifiche che, oltre a possedere i requisiti poc’anzi illustrati, godano del consenso generale.
Sulla base delle considerazioni appena formulate e’ dunque possibile affermare che le leggi scientifiche utilizzabili dal giudice per la spiegazione causale sono esclusivamente quelle connotate da un elevato grado di conferma empirica e di corroborazione, per il superamento dei tentativi di falsificazione, e che godano inoltre di un diffuso consenso, nell’ambito della comunita’ scientifica internazionale.
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Una volta stabilito quali debbano essere i requisiti delle leggi scientifiche utilizzabili dal giudice nella valutazione del nesso causale, analizziamo un ulteriore profilo, inerente alla loro natura. Nell’ambito della categoria delle leggi scientifiche, summa divisio si pone tra leggi di carattere universale e leggi di carattere statistico. Le prime sono quelle che asseriscono, nella successione di determinati eventi, invariabili regolarita’, senza eccezioni. Le seconde si limitano invece ad affermare che il verificarsi di un evento e’ accompagnato dal verificarsi di un altro evento in una certa percentuale di casi e con una frequenza relativa. Sono leggi universali, ad esempio, le asserzioni: tutte le volte in cui una sbarra di ferro magnetizzata viene spezzata in due, entrambe le sue parti sono ancora magneti; se un individuo viene lasciato senza mangiare ne’ bere, muore. Sono invece leggi statistiche le asserzioni del tipo: se viene lanciato un dado simmetrico, la probabilita’ che esso si arresti volgendo verso l’alto una determinata faccia e’ di uno a sei; il fumo provoca il cancro al polmone; l’esposizione a cloruro di vinile monomero provoca l’angiosarcoma epatico. Leggi probabilistiche si incontrano praticamente in tutte le discipline, dalla fisica all’economia, dalla biologia alla medicina, dalla psicologia alle scienze sociali. Si distinguono leggi probabilistiche epistemiche e leggi probabilistiche intrinseche: le prime assumono che esistano, in relazione ai fenomeni oggetto d’indagine, autentiche leggi universali, che pero’ sono ignote, ragion per cui il probabilismo e’ soltanto frutto dei limiti della conoscenza scientifica attuale; le seconde costituiscono invece, per quel che ad oggi e’ dato sapere, autentiche leggi stocastiche, irriducibili a leggi universali. Ve ne sono innumerevoli, ad esempio nella fisica quantistica e nella genetica. La Corte di cassazione ha affermato che il ricorso alle leggi statistiche da parte del giudice e’ piu’ che legittimo perche’ il modello della sussunzione sotto leggi sottende, il piu’ delle volte, necessariamente il distacco. da una spiegazione causale deduttiva, che implicherebbe una impossibile conoscenza di tutti i fatti e di tutte le leggi pertinenti (Cass., Sez. 4, 6 dicembre 1990, Bonetti, relativa alla frana di Stava, verificatasi il 9 luglio 1985). E, correttamente, le Sezioni unite, hanno sottolineato che, ove si ripudiasse la natura eminentemente induttiva dell’accertamento giudiziale e si pretendesse comunque una spiegazione causale di tipo deterministico e nomologico-deduttivo, secondo criteri di utopistica certezza assoluta, si finirebbe col frustrare gli scopi preventivo-repressivi del diritto e del processo penate in settori nevralgiti per la tutela di beni primari, stabilendo conseguentemente che la spiegazione causale dell’evento puo’ essere tratta da leggi scientifiche, universali o statistiche, enucleabili anche da rilevazioni epidemiologiche (Sez. U., 10 luglio 2002, Franzese, cit.).
Indubbiamente, pero’, qualora si circoscrivesse lo spettro cognitivo alla sola considerazione dello spessore statistico-quantitativo del parametro nomologico utilizzato, laddove venisse utilizzata, come premessa maggiore del sillogismo esplicativo, una legge statistica con coefficiente percentualistico elevato ma non prossimo al 100%, gli approdi decisori assai raramente si configurerebbero in termini di certezza. Ad esempio, si considera statisticamente provato che il fumo possa produrre il cancro al polmone. Tuttavia, non soltanto vi sono accaniti fumatori che non contraggono il cancro al polmone ma vi sono anche molte persone che contraggono questo tipo di tumore senza aver mai fumato: quindi il fumo non ne costituisce condicio sine qua non. Ne deriva che perfino se riscontrassimo un cancro al polmone in un fumatore, non potremmo concludere con certezza che il fumo ne sia stato la causa. A fortiori, una correlazione statistica di bassa frequenza non e’ in grado di fondare l’imputazione causale dell’evento singolo.
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Per colmare le carenze epistemiche derivanti dall’utilizzo di parametri nomologici che, di per se’, non assicurano la certezza, e’ stato elaborato, in giurisprudenza, il concetto di “probabilita’ logica”. Su questo versante, viene in rilievo la differenza fra probabilita’ statistica e probabilita’ logica. Mentre la prima attiene alla verifica empirica circa la misura della frequenza relativa nella successione degli eventi, la seconda contiene la verifica aggiuntiva, sulla base dell’intera evidenza disponibile, dell’attendibilita’ dell’impiego della legge statistica per il singolo evento e della persuasiva e razionale credibilita’ dell’accertamento giudiziale. Dunque, il concetto di probabilita’ logica impone di tener conto di tutte le caratteristiche del caso concreto, integrando il criterio della frequenza statistica con tutti gli elementi astrattamente idonei a modificarla. Ad esempio: dall’indagine statistica si rileva che la somministrazione di una determinata terapia per contrastare una certa patologia, ha avuto efficacia positiva nell’80% dei casi. Rimanendo ancorati al dato statistico, non e’ possibile affermare il nesso di condizionamento tra la condotta del medico che abbia omesso di prescrivere la terapia e la morte del paziente perche’ residuerebbe un rischio troppo elevato di condannare un innocente, dato che nel 20% dei casi la terapia non ha avuto efficacia risolutiva. Se la probabilita’ statistica viene invece integrata da tutti gli elementi forniti dall’evidenza disponibile, e’ possibile pervenire ad una valutazione, in un senso o nell’altro, connotata da un elevato grado di credibilita’ razionale, non piu’ espresso in termini meramente percentualistici.
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Le caratteristiche del caso concreto da prendere in considerazione potranno inerire all’eta’, al sesso del paziente, allo stadio cui era pervenuta la patologia, alla tempestivita’ dell’accertamento della malattia, alle condizioni di salute generale del soggetto, alla presenza di altre patologie, alla necessaria assunzione, da parte del paziente, di altri farmaci che interferiscono con la terapia praticata e, in generale, a tutte le circostanze che possono aumentare o diminuire le speranze di sopravvivenza. E le Sezioni unite, nella sentenza Franzese, hanno affermato che anche coefficienti medio-bassi di probabilita’ c.d. frequentista per tipi di evento, rivelati dalla legge statistica o da generalizzazioni empiriche del senso comune o da rilevazioni epidemiologiche, pur imponendo verifiche particolarmente attente sia in merito alla loro fondatezza che alla specifica applicabilita’ alla fattispecie concreta, possono essere utilizzati per l’accertamento del nesso di condizionamento, ove siano corroborati dal positivo riscontro probatorio circa la sicura non incidenza, nel caso di specie, di altri fattori interagenti in via alternativa. Il procedimento logico, non dissimile, secondo le Sezioni unite, dalla sequenza del ragionamento inferenziale, dettato, in tema di prova indiziaria, dall’articolo 192 c.p.p., comma 2, deve pertanto condurre alla conclusione, caratterizzata da “un alto grado di credibilita’ razionale”, quindi alla “certezza processuale “, che, esclusa l’interferenza di decorsi alternativi, la condotta omissiva dell’imputato, alla luce della cornice nomologica e dei dati ontologici, sia stata condizione “necessaria” dell’evento, attribuibile percio’ all’agente come fatto proprio.
L’ulteriore passo sara’ costituito, nell’ottica del giudizio di probabilita’ logica, dalla ricerca – ed,eventualmente, dall’esclusione – di decorsi causali alternativi. Dunque l’attivita’ investigativa del pubblico ministero prima e quella istruttoria del giudice poi non devono essere dirette soltanto ad ottenere la conferma dell’ipotesi formulata ma devono riguardare anche l’esistenza di fattori causali alternativi, che possano costituire elementi di smentita dell’ipotesi prospettata. L’impossibilita’ di escludere, al di la’ di ogni ragionevole dubbio, l’esistenza di fattori causali alternativi non consente di ritenere processualmente certo il rapporto di causalita’ e dunque. di attribuire, sotto il profilo oggettivo, l’evento all’imputato. In giurisprudenza, si e’, in proposito, precisato pero’ che il giudice deve adeguatamente motivare la conclusione sulla possibile esistenza di fattori alternativi di spiegazione dell’evento e non puo’ contrapporre ai dati di fatto accertati mere congetture per ipotizzare tali spiegazioni alternative (Cass., Sez. 4, 2 marzo 2005, Herreros). E le Sezioni unite hanno ribadito che il rapporto di causalita’ tra omissione ed evento non puo’ ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilita’ statistica ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilita’ logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sulla base dell’analisi delle connotazioni del fatto storico e delle peculiarita’ del caso concreto. (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261103).
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La via per giungere ad un corretto giudizio di probabilita’ logica e’ additata dalle Sezioni unite nel procedimento abduttivo, strumento principe dell’accertamento della condizionalita’ necessaria (Sez. U., 10.7.2002, Franzese). Lo schema dell’abduzione e’ il seguente: si osserva F, un fatto sorprendente, di cui si vogliono ricercare le cause; se A fosse vero, allora F sarebbe naturale; vi e’ quindi motivo di credere che A sia vero. Dunque, al fine di trovare una spiegazione di un fatto problematico, dobbiamo elaborare un’ipotesi o congettura da cui dedurre delle conseguenze, le quali, a loro volta, possano essere collaudate empiricamente. Il primo passo e’ pertanto la formulazione di un’ipotesi esplicativa. Si procede poi, per via deduttiva, a trarre dall’ipotesi le previsioni dei risultati di determinate verifiche. Si eseguono quindi le verifiche e si confrontano le previsioni con i risultati di essi, concludendo con la validazione o l’invalidazione dell’ipotesi.
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L’abduzione cerca quindi di risalire dai fatti alle loro cause, procedendo dal conseguente all’antecedente. Dunque, la logica abduttiva e’ un ragionare all’indietro: dall’esperienza all’ipotesi. Il punto di partenza e’ un fatto sorprendente, che genera “uno stato di insoddisfazione”, che “stimola alla ricerca”. Orbene, l’indagante formula un’ipotesi di spiegazione che e’ un tentativo di ricondurre l’evento sorprendente alle sue cause sulla base di una qualche forma di regolarita’ nomologica. Una volta formulata un’ipotesi di spiegazione dei fatti, cio’ che si deve fare e’ trarne le conseguenze per deduzione, confrontarle con i risultati delle verifiche e scartare l’ipotesi, provandone un’altra, non appena la prima verra’ smentita.
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Sulla base delle considerazioni dianzi formulate, le Sezioni unite, con impostazione sostanzialmente confermata dalla giurisprudenza successiva, hanno enucleato, per quanto attiene alla responsabilita’ professionale del medico, relativamente al profilo eziologico, i seguenti principi di diritto: il nesso causale puo’ essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio contro fattuale, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica universale o statistica -, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa, l’evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe – verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensita’ lesiva. Non e’ pero’ consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilita’ espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiche’ il giudice deve verificarne la validita’ nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, cosicche’, all’esito del ragionamento probatorio, che abbia altresi’ escluso l’interferenza di fattori eziologici alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico e’ stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto grado di credibilita’ razionale”. L’insufficienza, la contraddittorieta’ e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio (Sez. U. 10.7.2002, Franzese). Ne deriva che nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attivita’ (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilita’ razionale (Cass.,Sez.4,n. 30649 del 13-6-2014, Rv. 262239).Sussiste, pertanto, il nesso di causalita’ tra l’omessa adozione, da parte del medico, di misure atte a rallentare o bloccare il decorso della patologia e il decesso del paziente, allorche’ risulti accertato, secondo il principio di controfattualita’, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore -o con modalita’ migliorative, anche sotto il profilo dell’intensita’ della sintomatologia dolorosa (Cass., Sez. 4, n. 18573 del 14-2-2013, Rv. 256338).
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Nel caso in disamina, il giudice a quo ha posto in rilievo che dagli accertamenti peritali e’ emerso che entro le prime sei ore dall’ingresso in ospedale dell’ (OMISSIS), quando la dissezione era verosimilmente limitata alla sola aorta ascendente e poteva essere individuata con una ecocardiografia correttamente eseguita e integrata da un approccio trans-esofageo o anche valutando correttamente la RX toracica ed eseguendo una tac multistrato, le probabilita’ di successo dell’intervento chirurgico erano molto elevate, in un soggetto giovane, senza comorbilita’, in assenza di estensione della dissezione agli osti coronarici e di ematoma pericardico. In tale situazione le probabilita’ di successo erano stimabili in misura superiore al 90%. Al momento dell’estensione della dissezione a tutta la aorta, stimabile nelle sei-otto ore successive al ricovero, le chances di sopravvivenza, pur inferiori a quelle connesse ad una diagnosi tempestiva, sarebbero state ancora superiori al 50-60%. Ne deriva che le probabilita’ di successo, con sopravvivenza del paziente, sono rimaste ottime per l’intero periodo in cui l’ (OMISSIS) e’ rimasto affidato alle cure del dottor (OMISSIS), tanto piu’ che si trattava di un paziente relativamente giovane (55 anni), che non risultano accertate, nemmeno all’esito dell’esame autoptico, altre patologie rilevanti e che la struttura d’eccellenza in cui il paziente era ricoverato assicurava la migliore assistenza e professionalita’. L’impianto argomentativo a sostegno del decisum e’, dunque, puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l’iter logico-giuridico seguito dal giudice e percio’ a superare lo scrutinio di legittimita’.
11.Considerazioni non dissimili attengono al secondo motivo del ricorso presentato dalle parti civili, concernente sempre la problematica del nesso causale in relazione pero’ alla posizione processuale di (OMISSIS). La Corte d’appello ha, al riguardo, evidenziato che quest’ultima assunse la cura del paziente tra le 8 e le 8,30 del (OMISSIS), 12 ore dopo il ricovero in UCIC.
E’ vero che anche ella si appiatti’ sulla diagnosi formulata dal collega piu’ anziano, senza rivalutare autonomamente, come doveroso, la situazione clinica del paziente e gli esiti dell’ECG e dell’analisi degli enzimi cardiaci e senza tenere conto della persistenza del dolore lombare, cioe’ senza considerare tutta una serie di elementi che imponevano, proprio per la specializzazione rivestita, una rivisitazione della diagnosi ed una rivalutazione critica di essa. Tuttavia, non puo’ sottovalutarsi il decorso del tempo. Erano, infatti, trascorse gia’ oltre 12 ore dall’insorgenza del primo sintomo. Altro tempo sarebbe stato necessario per l’esecuzione degli interventi diagnostici, anche strumentali, necessari per la verifica dell’originaria diagnosi e la ricerca di un’alternativa diagnostica. A quel punto, per la progressione dell’estensione della dissezione, l’intervento non avrebbe potuto offrire le stesse chances di successo che, come si e’ visto, erano ancora molto elevate nelle ore precedenti..In questo caso, davvero, il ricorso all’intervento chirurgico sarebbe stato ad alto rischio e sicuramente scarsamente praticabile. Di qui la conclusione relativa all’insussistenza del nesso eziologico fra le omissioni colpevoli in cui pure e’ incorsa la (OMISSIS) e l’evento letale. Trattasi, come si vede, di una motivazione precisa, fondata su specifiche risultanze processuali e del tutto idonea a illustrare l’itinerario concettuale esperito dal giudice di merito. D’altronde, il vizio di manifesta illogicita’ che, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), legittima il ricorso per cassazione implica the il ricorrente dimostri che l’iter argomentativo seguito dal giudice e’ assolutamente carente sul piano logico e, per altro verso, che questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter, in tesi egualmente corretti sul terreno della razionalita’. Ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicita’ (Sez. U.. 27-9-1995, Mannino, Rv. 202903).La verifica che la Corte di cassazione e’ abilitata a compiere sulla completezza e correttezza della motivazione di una sentenza non puo’ infatti essere confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito. Ne’ la Corte suprema puo’ esprimere alcun giudizio sulla rilevanza e sull’attendibilita’ delle fonti di prova, giacche’ esso e’ attribuito al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimita’, una volta accertato che, come nel caso in disamina, il processo formativo del libero convincimento del giudice non abbia subi’to il condizionamento derivante da una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un’imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova (Sez. U., Rv. 203767 del 25-11-1995, Facchini). Dedurre infatti vizio di motivazione della sentenza significa dimostrare che essa e’ manifestamente carente di logica e non gia’ opporre alla ponderata ed argomentata valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, anche se non irragionevole (Sez. U. 19-6-1996, Di Francesco, Rv 205621).
QUANDO ABBIAMO COLPA MEDICA?Quanto, infatti, alla censura concernente la ripartizione dell’onere probatorio del nesso causale tra paziente danneggiato (o, come nella specie, i suoi eredi) e struttura sanitaria, va ribadito – nel senso della sua infondatezza – che, nei giudizi risarcitori da responsabilità sanitaria, si delinea “un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle”. Orbene, il primo, “quello relativo all’evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia”, ovvero la morte, “e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto)” (così, in motivazione, tra le altre, Cass. Sez. 3, sent. 26 luglio 2017, n. 18392, Rv. 645164-01). Ne consegue, dunque, che “la causa incognita resta a carico dell’attore relativamente all’evento dannoso, resta a carico del convenuto relativamente alla possibilità di adempiere. Se, al termine dell’istruttoria, resti incerti la causa del danno o dell’impossibilità di adempiere, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano rispettivamente sull’attore o sul convenuto. Il ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere acquista rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta del debitore. Solo una volta che il danneggiato abbia dimostrato che l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento)”, ovvero la morte del paziente, “è causalmente riconducibile alla condotta dei sanitari sorge per la struttura sanitaria l’onere di provare che l’inadempimento, fonte del pregiudizio lamentato dall’attore, è stato determinato da causa non imputabile” (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 18392 del 2017, cit.; nello stesso senso anche Cass. Sez. 3, sent. 4 novembre 2017, n. 26824, non massimata; Cass. Sez. 3, sent. 7 dicembre 2017, n. 29315, Rv. 646653-01; Cass. Sez. 3, sent. 15 febbraio 2018, n. 3704, Rv. 647948-01; Cass. Sez. 3, ord. 23 ottobre 2018, n. 26700, Rv. 651166-01, nonchè, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 11 novembre 2019, n. 28991, Rv. 655828-01). Si tratta, peraltro, di conclusione – come è stato di recente sottolineato – che tiene conto della peculiare configurazione che il “sottosistema” della responsabilità per attività sanitaria riveste nell’ambito del sistema “generale” della responsabilità contrattuale. Se, invero, nell’ambito di quest’ultimo, la “causalità materiale, pur teoricamente distinguibile dall’inadempimento per la differenza fra eziologia ed imputazione, non è praticamente separabile dall’inadempimento, perchè quest’ultimo corrisponde alla lesione dell’interesse tutelato dal contratto e dunque al danno evento”, non altrettanto può dirsi in ambito di responsabilità sanitaria, giacchè nel “diverso territorio del “tacere” professionale la causalità materiale torna a confluire nella dimensione del necessario accertamento della riconducibilità dell’evento alla condotta”. Qui, infatti, “l’interesse corrispondente alla prestazione è solo strumentale all’interesse primario del creditore” (che, nel caso del “facere” professionale del sanitario, è quello alla guarigione), giacchè oggetto della prestazione sanitaria è solo “il perseguimento delle “leges artis” nella cura dell’interesse del creditore” (o, altrimenti detto, il diligente svolgimento della prestazione professionale), di talchè, il “danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica o di insorgenza di nuove patologie attinge non l’interesse affidato all’adempimento della prestazione professionale, ma quello presupposto corrispondente al diritto alla salute”. Ne consegue, pertanto, che non essendo l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie (ovvero la morte) “immanenti alla violazione delle “leges artis””, potendo “avere una diversa eziologia”, all’onere del creditore/ danneggiato “di allegare la connessione puramente naturalistica fra la lesione della salute, in termini di aggravamento della situazione patologica o insorgenza di nuove patologie, e la condotta del medico”, si affianca – “posto che il danno evento non è immanente all’inadempimento”, anche quello “di provare quella connessione” (così Cass. Sez. 3, sent. n. 28991 del 2019, cit.).
Imprudenza: fa riferimento ad un atteggiamento avventato da parte dell’operatore sanitario che, nonostante fosse al corrente dei rischi per il paziente, decide di procedere con una determinata procedura;
Imperizia: viene identificata con tutti i casi in cui il medico non ha la preparazione professionale e tecnica sufficiente per fronteggiare una determinata situazione.
1)Risarcimento Danni per errore, per negligenza del ginecologo;
Risarcimento Danni per errore, per imperizia dell’ortopedico;
Risarcimento Danni per errore, per negligenza dell’oncologo;
Risarcimento Danni per errore, per imprudenza del cardiologo;
Risarcimento danni per errore, per imperizia del nefrologo;
Risarcimento Danni per errata diagnosi prenatale e nascita indesiderata;
Risarcimento Danni per anestesia errata;
Risarcimento Danni per carenza consenso informato.
2)Risarcimento Danni causati da omessa, tardiva, errata diagnosi;
Risarcimento Danni causati da terapie farmacologiche errate;
Risarcimento Danni conseguenti ad Infezioni contratte durante il Ricovero Ospedaliero;
Risarcimento Danni causati da errati interventi chirurgici;
Risarcimento Danni per errore, negligenza, imperizia, imprudenza del Chirurgo Estetico;
Risarcimento Danni causati da cure errate o insufficienti nella fase post operatoria;
Risarcimento Danni causati da trasfusioni di sangue infetto;
Risarcimento Danni causati da gravi errori, imprudenza in sala parto;
Risarcimento Danni per errore, per imprudenza del pediatra;
Risarcimento Danni per errore, per imperizia del dentista/odontoiatra;