MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA REATO DIFESA AVVOCATO PENALISTA BOLOGNA
MALTRATTAMENTI FAMIGLIA ART 572 CP ARRESTO BOLOGNA
Il reato di maltrattamenti in famiglia è disciplinato dall’articolo 572 del Codice Penale italiano. Questo articolo prevede che chiunque maltratti una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità, custodia o cura, sia punito con la reclusione da due a sei anni.
Elementi del Reato
Perché si configuri il reato di maltrattamenti in famiglia, devono sussistere alcuni elementi essenziali:
- Condotta: Azioni o comportamenti reiterati nel tempo, che possono comprendere violenza fisica, psicologica, economica o sessuale.
- Soggetto Attivo: Chiunque abbia un legame familiare o di convivenza con la vittima, o chiunque abbia autorità, custodia o cura su di essa.
- Soggetto Passivo: La vittima dei maltrattamenti, che può essere un familiare, convivente o una persona sotto la custodia o autorità del soggetto attivo.
- Elemento Soggettivo: La volontarietà del comportamento da parte del soggetto attivo.
Il reato può essere aggravato se:
- Il fatto è commesso in presenza di minori.
- Il fatto provoca un grave pregiudizio fisico o psicologico alla vittima.
- La vittima è una persona vulnerabile, ad esempio per età, condizioni di salute, disabilità.
Procedura e Denuncia
Le vittime di maltrattamenti in famiglia possono presentare denuncia alle forze dell’ordine, che avvieranno le indagini. È importante che la denuncia sia supportata da prove, come referti medici, testimonianze, registrazioni audio o video.
Conseguenze
In caso di condanna, oltre alla pena detentiva, il colpevole può essere sottoposto a misure accessorie come il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima, la perdita della potestà genitoriale e l’allontanamento dalla casa familiare.
Supporto alle Vittime
Le vittime di maltrattamenti in famiglia possono rivolgersi a servizi di supporto, come i centri antiviolenza, che offrono assistenza psicologica, legale e sociale. Esistono anche numeri verdi e linee telefoniche di emergenza per le vittime di violenza domestica.
Il reato di maltrattamenti in famiglia è una questione molto seria e complessa, che richiede l’intervento di professionisti legali e il supporto di reti di protezione sociale per garantire la sicurezza e il benessere delle vittime.
imputato maltrattamenti in famiglia
Quando una persona è imputata per il reato di maltrattamenti in famiglia, significa che è formalmente accusata di aver commesso tale reato e deve affrontare un processo penale. Ecco una panoramica del procedimento legale e delle implicazioni per l’imputato:
- Denuncia e Indagini Preliminari
- La procedura inizia con una denuncia presentata dalla vittima o da terzi alle forze dell’ordine.
- La polizia giudiziaria e il pubblico ministero (PM) conducono indagini preliminari per raccogliere prove, che possono includere testimonianze, referti medici, intercettazioni e altro.
- Iscrizione nel Registro degli Indagati
- Se emergono sufficienti indizi di colpevolezza, il nome della persona sospettata viene iscritto nel registro degli indagati.
- L’indagato può essere sottoposto a misure cautelari, come il divieto di avvicinamento alla vittima, arresti domiciliari o custodia cautelare in carcere, se ritenuto necessario per prevenire ulteriori violenze o pericolo di fuga.
- Udienza Preliminare
- Se le prove raccolte sono ritenute sufficienti, il PM può chiedere il rinvio a giudizio dell’indagato.
- Durante l’udienza preliminare, un giudice valuta se esistono elementi sufficienti per procedere con il processo. Se sì, l’indagato diventa formalmente imputato.
- Processo Penale
- Il processo si svolge davanti a un giudice o a una corte, a seconda della gravità del reato.
- Durante il processo, vengono presentate le prove e ascoltate le testimonianze sia dell’accusa che della difesa.
- L’imputato ha il diritto di difendersi, anche con l’assistenza di un avvocato difensore.
- Verdetto e Sentenza
- Al termine del processo, il giudice emette un verdetto di colpevolezza o innocenza.
- In caso di condanna, viene determinata la pena, che può includere la reclusione, il pagamento di una multa e misure accessorie come l’allontanamento dalla vittima e la perdita della potestà genitoriale.
L’imputato ha il diritto di difendersi con tutti i mezzi legali a sua disposizione. Tra le possibili linee difensive vi sono:
- Negazione dei Fatti: L’imputato può negare di aver commesso i fatti contestati, presentando alibi o testimonianze a proprio favore.
- Attenuanti: L’imputato può cercare di dimostrare l’esistenza di circostanze attenuanti, come il fatto di aver agito sotto stress o provocazione.
- Errore di Fatto o di Diritto: L’imputato può sostenere di non aver avuto l’intenzione di maltrattare o di non essere stato consapevole della natura illegale delle proprie azioni.
In caso di condanna, le conseguenze possono essere severe e includere:
- Reclusione: La pena detentiva prevista dall’articolo 572 del Codice Penale varia da due a sei anni, con possibili aumenti in presenza di aggravanti.
- Misure Accessorie: Come il divieto di avvicinamento alla vittima, la perdita della potestà genitoriale e l’allontanamento dalla casa familiare.
- Risarcimento Danni: L’imputato potrebbe essere condannato a risarcire i danni morali e materiali alla vittima.
I maltrattamenti in famiglia sono un reato previsto e punito dall’articolo 572 del codice penale italiano. Si configurano quando una persona, in un contesto familiare o para-familiare, commette ripetutamente atti di violenza fisica, psicologica o economica nei confronti di un’altra persona, in modo da lederne l’integrità fisica o morale.
Le vittime di maltrattamenti in famiglia possono essere di qualsiasi età, genere o condizione sociale. I soggetti più a rischio sono i bambini, le donne e le persone anziane.
I maltrattamenti in famiglia possono manifestarsi in diverse forme, tra cui:
- Violenza fisica: percosse, lesioni, abusi sessuali.
- Violenza psicologica: minacce, insulti, umiliazioni, isolamento sociale.
- Violenza economica: controllo delle risorse economiche, privazioni, sfruttamento lavorativo.
I maltrattamenti in famiglia possono avere conseguenze devastanti sia per la vittima che per l’intera famiglia. Le vittime possono soffrire di problemi fisici, psicologici e sociali, tra cui:
- Lesioni fisiche
- Problemi psicologici, come depressione, ansia, stress post-traumatico
- Dipendenza da sostanze
- Difficoltà relazionali
- Esclusione sociale
I maltrattamenti in famiglia possono anche avere conseguenze negative per i bambini che ne sono testimoni, che possono sviluppare problemi comportamentali, emotivi e di apprendimento.
In Italia, i maltrattamenti in famiglia sono un reato perseguibile d’ufficio. Ciò significa che la polizia può intervenire anche senza la denuncia della vittima.
Un imputato è una persona che è accusata di un reato. Nel caso di maltrattamenti in famiglia, l’imputato è la persona che è accusata di aver commesso atti di violenza fisica, psicologica o economica nei confronti di un’altra persona, in un contesto familiare o para-familiare.
L’arresto per maltrattamenti in famiglia è una misura cautelare che può essere disposta dal pubblico ministero o dal giudice su richiesta del pubblico ministero, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza e il pericolo che la persona possa commettere ulteriori reati di maltrattamenti in famiglia o reati contro la persona.
L’arresto è una misura drastica che deve essere utilizzata solo quando strettamente necessario. Prima di emettere un’ordinanza di arresto, il pubblico ministero o il giudice deve considerare tutti gli elementi del caso, tra cui la gravità dei maltrattamenti, la personalità dell’imputato e il rischio di fuga o di reiterazione del reato.
L’arresto per maltrattamenti in famiglia può essere eseguito dalla polizia o dai carabinieri. La persona arrestata deve essere immediatamente portata in una caserma o in un ufficio di polizia, dove sarà interrogata dal pubblico ministero o dal giudiceMALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA
La persona arrestata può essere scarcerata su cauzione o con obbligo di firma, a meno che il pubblico ministero o il giudice ritenga che vi sia il pericolo che la persona possa commettere ulteriori reati o fuggire.
La misura cautelare dell’arresto può essere disposta per un periodo massimo di 48 ore, trascorse le quali la persona arrestata deve essere tradotta davanti al giudice per le indagini preliminari, che deciderà se convalidare l’arresto o se scarcerare la persona.
Se l’arresto viene convalidato, il giudice può emettere un’ordinanza di custodia cautelare in carcere o in un altro luogo di pena, se ritiene che la persona sia pericolosa per la collettività.
La custodia cautelare in carcere è una misura restrittiva della libertà personale che può essere disposta solo quando sussistono gravi indizi di colpevolezza e il pericolo che la persona possa commettere ulteriori reati o reiterare il reato per cui è stata arrestata.
La custodia cautelare in carcere può essere disposta per un periodo massimo di 24 mesi, trascorsi i quali la persona arrestata deve essere sottoposta a giudizio.
Se la persona arrestata viene condannata per maltrattamenti in famiglia, la pena prevista è la reclusione da tre a sette anni. Se il fatto è commesso in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità, la pena è aumentata fino alla metà.
In caso di condanna per maltrattamenti in famiglia, la persona condannata può essere obbligata a risarcire il danno alla vittima. La misura del risarcimento del danno è determinata dal giudice, tenendo conto della gravità dei maltrattamenti e delle conseguenze che questi hanno avuto sulla vittima.
In caso di condanna per maltrattamenti in famiglia, la persona condannata può essere interdetta dai pubblici uffici per un periodo da uno a cinque anni. L’interdizione dai pubblici uffici comporta l’incapacità di ricoprire cariche elettive o di ufficio o di esercitare professioni o mestieri che implicano contatti con minori o persone vulnerabili.
L’imputato di maltrattamenti in famiglia può essere di qualsiasi età, genere o condizione sociale. Può essere il marito, la moglie, il partner, un genitore, un figlio, un fratello, una sorella, un caregiver o un’altra persona che ha una relazione di tipo familiare o para-familiare con la vittima.
L’imputato di maltrattamenti in famiglia può essere accusato di uno o più dei seguenti reati:
- Maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.)
- Violenza sessuale (art. 609-bis c.p.)
- Abusi sessuali sui minori (art. 609-quater c.p.)
- Sequestro di persona (art. 605 c.p.)
- Vittime di maltrattamenti in famiglia possono essere di qualsiasi età, genere o condizione sociale. I soggetti più a rischio sono i bambini, le donne e le persone anziane.
L’imputato di maltrattamenti in famiglia può essere processato in tribunale. Se viene condannato, può essere punito con la reclusione da tre a sette anni. La pena è aumentata fino alla metà nel caso in cui il fatto sia commesso in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità.
La difesa di un imputato di maltrattamenti in famiglia può essere basata su una serie di motivi, tra cui:
- L’assenza di prove sufficienti per dimostrare la colpevolezza dell’imputato
- La presenza di circostanze attenuanti, come la provocazione della vittima o la mancanza di premeditazione
- La non punibilità dell’imputato, ad esempio per motivi di infermità mentale o per aver agito in stato di necessità
L’imputato di maltrattamenti in famiglia può essere assistito da un avvocato durante il processo.
FATTO
Si contesta all’imputato di avere maltrattato la moglie Gu.Ca.Ma., umiliandola e costringendola a tollerare una convivenza more uxorio sotto lo stesso tetto con altra donna, minacciandola, percuotendola e lesinandole il denaro per fare fronte ad esigenze primarie; così rendendole la vita particolarmente penosa e dolorosa. I fatti sono contestati dal 2009 “ad oggi” e quindi al momento della richiesta di rinvio a giudizio del Pubblico ministero nel 2012.
SOSTANZA
il delitto di cui all’art. 572 c.p., è configurabile anche in danno di persona non convivente o non più convivente con l’agente, quando quest’ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla affiliazione (Sez. 6, n. 3087 del 19/12/2017 Rv. 272134; Sez. 6, n. 33882 dell’08/07/2014 Rv. 262078; Sez. 2, n. 30934 del 23/04/2015, Rv. 264661).
La separazione legale e a maggior ragione la separazione di fatto lasciano, infatti, integri i doveri di reciproco rispetto, di assistenza morale e materiale nonchè di collaborazione.
Pertanto, poichè la convivenza non rappresenta un presupposto della fattispecie in questione, la separazione non esclude il reato di maltrattamenti, quando l’attività persecutoria incida su quei vincoli che, rimasti intatti a seguito del provvedimento giudiziario o della separazione di fatto, pongono, come nel caso in esame, la parte offesa in posizione psicologica subordinata o comunque dipendente (Sez. 6, n. 282 del 26/01/1998, Rv. 210838).
Cassazione Penale- MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA
sez. VI
Sentenza 06/08/2019, n. 35677
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere –
Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere –
Dott. ROSATI Martino – Consigliere –
Dott. VIGNA Maria S. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
G.G., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 11/01/2018 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MARIA SABINA VIGNA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. ANGELILLIS CIRO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
udito il difensore, avvocato TICINO LUIGI del foro di ENNA oggi nominato avvocato di fiducia di G.G., che ha insistito nell’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
-
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Caltanissetta, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Enna il 17/02/2015, ha ridotto la pena inflitta a G.G. per il reato di maltrattamenti ai danni della moglie ad anni due e mesi tre di reclusione.
Si contesta all’imputato di avere maltrattato la moglie Gu.Ca.Ma., umiliandola e costringendola a tollerare una convivenza more uxorio sotto lo stesso tetto con altra donna, minacciandola, percuotendola e lesinandole il denaro per fare fronte ad esigenze primarie; così rendendole la vita particolarmente penosa e dolorosa. I fatti sono contestati dal 2009 “ad oggi” e quindi al momento della richiesta di rinvio a giudizio del Pubblico ministero nel 2012.
- Avverso la sentenza ricorre per cassazione G.G., a mezzo del difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi:
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del reato di cui all’art. 572 c.p..
La persona offesa non è stata in grado di riferire alcun episodio specifico di ingiurie, minacce o violenza, limitandosi ad affermare di essere stata trattata male in alcune occasioni e di avere ricevuto qualche schiaffo.
L’imputato era andato a vivere con altra donna in autonomo appartamento chiedendo anche la separazione dalla moglie, “la quale però aveva opposto un netto rifiuto. Il figlio ha riferito che all’interno dell’immobile vi erano appartamenti con accessi autonomi, cioè porte diverse collegate da una scala comune; tale specificazione rende insostenibile l’accusa relativa alla umiliazione nascente da una convivenza more uxorio sotto lo stesso tetto.
- viveva in una condizione di estremo disagio e in tale situazione faceva vivere la famiglia ma non ha posto in essere comportamenti idonei a imporre alla moglie un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile.
2.2. Violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p. e violazione del principio del “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
La Corte di appello non ha fatto altro che confermare le risultanze acquisite in primo grado senza vagliare i motivi di appello.
2.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 516, 519, 521 e 522 c.p.p. per avere la Corte di appello posto a base della condanna fatti e circostanze che esulano dal periodo in contestazione (come la convivenza con una donna di nazionalità marocchina).
CONSIDERATO IN DIRITTO
-
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito indicate.
-
Il tre motivi articolati dal ricorrente – con i quali il predetto eccepisce sostanzialmente la violazione di legge ed il vizio di motivazione in punto di valutazione della sussistenza degli estremi del reato di maltrattamenti – possono essere esaminati congiuntamente, posto che nessuno di essi sfugge alla censura di inammissibilità.
2.1. In primo luogo, va posto in evidenza come tali censure costituiscano mera replica delle doglianze già dedotte in appello e non si confrontino con le puntuali risposte fornite dalla Corte territoriale in merito alle specifiche doglianze mosse con l’atto d’appello. Secondo i consolidati principi espressi da questa Corte, ciò rende inammissibili i motivi per difetto di specificità, risultando soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Cass. Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838).
2.2. In secondo luogo, deve essere rilevato come detti motivi si traducano in una confutazione delle argomentate valutazioni agi giudici di merito e quindi nella prospettazione di una delibazione alternativa delle emergenze dell’istruttoria dibattimentale. Il che, secondo il costante orientamento di questa Corte, rende inammissibile il ricorso per cassazione, in quanto fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici tassativamente previsti dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), riguardanti la motivazione del giudice di merito in ordine alla ricostruzione del fatto (Cass. Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013, P.C., Basile e altri, Rv. 258153).
Ed invero, a fronte di una plausibile ricostruzione della vicenda, come descritta in narrativa, sui precisi riferimenti probatori operati dai giudici di merito, in questa sede, non è ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti, dovendosi, come detto, la Corte di legittimità limitare a ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (ex plurimis Cass. Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
2.3. Ad ogni buon conto, i giudici di merito hanno fornito un’adeguata risposta in ordine a tutti i profili oggetto di censura, dovendosi a tal fine valutare unitariamente il compendio motivazionale della sentenza in verifica e di quella appellata cui la prima fa espresso richiamo, in linea con i consolidati principi espressi da questa Corte secondo cui, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Cass. Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).
2.4. Deve osservarsi che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, il delitto di maltrattamenti in famiglia non è integrato soltanto dalle percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche dagli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali, quali ad esempio, come nel caso de quo la costrizione della moglie a sopportare la presenza di una concubina (Sez. 6, n. 44700 del 08/10/2013, P, Rv. 256962).
2.5. Va, inoltre, sottolineato che il delitto di cui all’art. 572 c.p., è configurabile anche in danno di persona non convivente o non più convivente con l’agente, quando quest’ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla affiliazione (Sez. 6, n. 3087 del 19/12/2017 Rv. 272134; Sez. 6, n. 33882 dell’08/07/2014 Rv. 262078; Sez. 2, n. 30934 del 23/04/2015, Rv. 264661).
La separazione legale e a maggior ragione la separazione di fatto lasciano, infatti, integri i doveri di reciproco rispetto, di assistenza morale e materiale nonchè di collaborazione.
Pertanto, poichè la convivenza non rappresenta un presupposto della fattispecie in questione, la separazione non esclude il reato di maltrattamenti, quando l’attività persecutoria incida su quei vincoli che, rimasti intatti a seguito del provvedimento giudiziario o della separazione di fatto, pongono, come nel caso in esame, la parte offesa in posizione psicologica subordinata o comunque dipendente (Sez. 6, n. 282 del 26/01/1998, Rv. 210838).
2.6. Nel caso in esame la Corte distrettuale, con motivazione immune da vizi logici, ha sottolineato che dal 2009 – è irrilevante che i giudici di merito a titolo esemplificativo abbiano fatto riferimento anche a condotte relative a periodi antecedenti – gli atti di offesa alla dignità della parte offesa, di disprezzo nei confronti della stessa, nonchè le violenze fisiche e le minacce sono stati abituali.
Vengono correttamente indicati dai giudici di merito l’iniziale imposizione della convivenza con altra donna, le continue privazioni economiche imposte alla moglie e al figlio, costretti a recarsi alla (OMISSIS) per mangiare, a fronte della agiatezza in cui viveva l’imputato con l’amante, la sottrazione di 175.000 Euro derivanti dalla vendita da parte della parte offesa di un immobile di sua proprietà, gli atti di violenza fisica e verbale.
2.7. I giudici di merito hanno puntualmente esplicitato le ragioni per le quali le dichiarazioni di Gu.Ca.Ma. si debbano ritenere credibili, in quanto intrinsecamente attendibili e confortate da riscontri esterni quali le dichiarazioni del figlio. Le considerazioni svolte sul punto si accordano perfettamente all’insegnamento espresso da questo giudice di legittimità a Sezioni Unite, secondo cui le regole dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Cass. Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214).
2.8. Quanto al dolo, deve osservarsi che la giurisprudenza è costante nel ritenere che per la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 572 c.p. non è necessario che l’agente abbia perseguito particolari finalità nè il proposito di infliggere alla vittima sofferenze fisiche o morali senza plausibile motivo, essendo invece sufficiente il dolo generico cioè la coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo a tali sofferenze in modo continuo ed abituale (Sez. 6, n. 1067 del 3 luglio 1990, Rv. 186275, Soru);
non è, quindi, richiesto un comportamento vessatorio continuo ed ininterrotto; essendo l’elemento unificatore dei singoli episodi costituito da un dolo unitario, e pressochè programmatico, che abbraccia e fonde le diverse azioni; esso consiste nell’inclinazione della volontà ad una condotta oppressiva e prevaricatrice che, nella reiterazione dei maltrattamenti, si va via via realizzando e confermando, in modo che il colpevole accetta di compiere le singole sopraffazioni con la consapevolezza di persistere in una attività illecita, posta in essere già altre volte (Sez. 6, n. 468 del 06/11/1991 dep. 20/01/1992 Rv. 188931, Faranda); esso è, perciò costituito da una condotta abituale che si estrinseca con più atti, delittuosi o no, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi ma collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento dall’unica intenzione criminosa di ledere l’integrità fisica o il patrimonio morale del soggetto passivo, cioè, in sintesi, di infliggere abitualmente tali sofferenze.
Di tali principi la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione sottolineando la sussistenza di una precisa determinazione del ricorrente a sottoporre la moglie a vessazioni morali – e talvolta fisiche – di accertata offensività.
La circostanza che l’imputato, all’epoca dei fatti, non versasse in adeguate condizioni economiche viene correttamente ritenuta del tutto irrilevante sotto il profilo del dolo del reato di maltrattamenti.
- Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2019